Contro la mobilità l’HR ricorre al talent assessment

Parlare oggi di talent assessment, a più di qualche anno dalla fine della pandemia, potrà apparire un tantino old fashion agli occhi di qualche giovane HR.

Per chi nel settore ha qualche anno di esperienza in più sulle spalle, invece, quel termine avrà tutto un altro sapore. Perché rappresenta la dimostrazione plastica di come il cambio di paradigma imposto dall’emergenza non ha resettato l’intero sistema di valori su cui era fondato il mondo HR prima della pandemia.

E che, a distanza di qualche anno, è ancora intatto il valore di quelle intuizioni, di quei modelli e di quegli approcci che si stavano sperimentando con successo proprio mentre alle organizzazioni iniziava a mancare il terreno sotto ai piedi. Riscrivendo all’improvviso bisogni e priorità.

Perché ri-parliamo di talent assessment

Ma allora perché siamo tornati a parlare di talent assessment? Molto banalmente, perché nel mondo HR ci si sta rendendo conto che molti dei problemi attuali hanno parecchi tratti in comune con le battaglie che si combattevano anche prima del Covid.

Great resignation e Quiet quitting sono fenomeni nuovi, d’accordo. E anche i livelli di talent scarcity che le organizzazioni stanno sperimentando da qualche tempo non hanno molti precedenti. Ma le radici di questi fenomeni affondano in un terreno che per diversi aspetti molti HR hanno già conosciuto.

Dopotutto, non è che prima il mondo del lavoro fosse esente da complicazioni. Attraction, people engagement, divario di competenze e retention erano battaglie allora tanto quanto lo sono oggi. E per affrontare queste sfide i professionisti delle risorse umane erano convinti che ci fosse un solo metodo veramente efficace: rimettere le competenze al centro di ogni processo HR.

Dall’approccio skills-based ai bisogni, e ritorno

Quello che è successo negli ultimi anni, dunque, è che siamo passati da un approccio skills-based a un approccio human-centered nella gestione delle risorse umane.

Attenzione, non fraintendiamoci: questa era ed è ancora la scelta più sensata in un mercato del lavoro sempre più people powered. Solo che molti HR hanno interpretato quel “human-centered” in maniera troppo ortodossa. O, se preferite, in maniera esclusiva. Concentrandosi cioè solo sui bisogni delle persone ed escludendo le competenze dal ragionamento. Commettendo così un enorme errore di valutazione.

Il messaggio che molti analisti stanno nuovamente tentando di far passare, somiglia dunque a una specie di ritorno alle origini pre-pandemiche. Una spinta a riprendere in mano gli approcci di qualche anno fa per provare a mitigare gli effetti di alcune piaghe moderne e costruire la forza lavoro di domani.

Orientarsi tra i diversi modelli di talent assessment

Ecco come si spiega questo nuovo ricorso al talent assessment. Anche se la domanda a questo punto protrebbe già essere un’altra: “quale talent assessment”?

Esiste infatti una pluralità di approcci skills-based che recruiter ed HR possono utilizzare per ridare alle competenze la centralità che meritano nei processi organizzativi.

Tra i più interessanti ne abbiamo selezionati 6, ma non tutti sono “universali”. Nel senso di adatti, cioè, a tutte le organizzazioni e a tutti i ruoli in azienda. Anche per le competenze, insomma, così come per i bisogni delle persone, l’HR deve saper differenziare.

Vediamoli insieme.

  • Interviste comportamentali
  • Test di valutazione delle competenze
  • Simulazioni di lavoro
  • Valutazioni della personalità
  • Test attitudinali cognitivi
  • Valutazioni di lavori di gruppo

Tutto in un unico processo

A questo punto il dubbio si sposta su quale sia la strategia di talent assessment più adatta a questa o quella organizzazione. Ma la verità è che una risposta che valga per tutti non esiste. Poiché nessuno meglio dell’HR può conoscere con la stessa accuratezza obiettivi di business e aspettative sul personale della propria azienda.

Il principale vantaggio di un approccio skills-based è proprio quello di tradurre e far convergere in un unico processo di valutazione più bisogni di un’organizzazione. Che si tratti di esigenze di recruiting, benessere organizzativo o performance management, cambia poco.

Anzi, il fatto che l’approccio basato sulle competenze aiuti l’impresa tanto per l’individuazione di candidati esterni quanto per la gestione del personale interno, è proprio uno degli aspetti più interessanti di questa strategia. Proviamo a spiegare perché.

L’importanza della “big picture”

Un approccio orientato alle competenze si concentra sull’identificazione del patrimonio di sapere interno all’organizzazione. Costituisce pertanto una base di partenza fondamentale per implementare molti altri processi.

Conoscere la morfologia della propria forza lavoro è cruciale per le imprese che vogliono proiettarsi nella cosiddetta New way of working.

“Mappare il talento” significa inoltre sapere dove questo si concentra all’interno dell’organizzazione. Il che permette di valutare se è nel posto giusto per gli interessi dell’azienda, ma anche se sente di essere nel posto giusto per le proprie ambizioni.

I 10 benefici di una strategia skills-based

Una buona strategia di valutazione del talento può aiutare inoltre a determinare le prestazioni lavorative future, garantire sempre la massima trasparenza e rimuovere ogni genere di pregiudizio nel processo di recruiting.

La lista dei benefici è lunga, ma potremmo riassumerla nei 10 punti chiave:

  1. Semplifica il processo di assunzione
  2. Rimuove i pregiudizi inconsci
  3. Restringe i potenziali candidati
  4. Riduce il rischio di pessime assunzioni
  5. Favorisce assunzioni dinamiche a tutti i livelli
  6. Identifica le aree per lo sviluppo dei dipendenti
  7. Fornisce indicazioni sui candidati migliori
  8. Consente un risparmio di tempo e di denaro
  9. Ottimizza i prcessi
  10. Migliora l’engagement dei collaboratorii

Il tempo: il solo nemico del talent assessment

Direte: possibile che il talent assessment abbia solo pregi e nessun difetto? Impossibile naturalmente. Questo approccio skills-based un difetto ce l’ha, eccome. E purtroppo si tratta di un limite che preclude a molte organizzazioni una sua eventuale applicazione: il tempo.

Il tempo che l’avvio di processi così articolati richiede e che poche imprese possono davvero concedersi. La battaglia del talento sta già assorbendo molte delle risorse che servono alle imprese a restare competitive. Per questo la più grande sfida per molte divisioni HR consiste nel gestire il proprio recruiitng con strumenti che siano rapidi e altamente performanti.

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