Progettare esperienza: l’HR designer riscrive le regole dell’attraction

Per metà selezionatore puro, per l’altra metà disegnatore di processi di attraction, engagement e retention di talenti. Quella dell’HR designer potrebbe smettere di essere una delle tante suggestioni e diventare presto l’unica evoluzione possibile del ruolo di responsabile delle risorse umane.

Ne abbiamo discusso insieme ai protagonisti del secondo panel del “Recruiting Marketing Day”, la giornata di approfondimento sulle principali sfide HR organizzata da Monster in collaborazione con gli esperti di Comunicazione Italiana presso Randstad Box.
Come si arriva all’HR designer.
Ad offrire lo spunto per riflettere sull’evoluzione del ruolo, e introdurre così la figura dell’HR designer, è stato un tema che gli specialisti delle risorse umane hanno imparato loro malgrado a conoscere bene negli ultimi tempi. Parliamo della talent scarcity.

La difficoltà di reperire sul mercato professionisti in linea con le proprie esigenze di business, infatti, sta spingendo da tempo gli specialisti dell’HR a ripensare il DNA della propria funzione.

In quest’ottica, il Recruiting Marketing Day è stato un ottimo pretesto per condividere con una platea di esperti e addetti ai lavori riflessioni e testimonianze che restano spesso confinati in un post su qualche social professionale.
Gli speaker del secondo panel del Recruiting Marketing Day:
● Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer di Glicon (moderatore)
● Giuseppe Stivaletta, Responsabile Talent Acquisition & Learning di Sicuritalia
● Alessio De Fazio, Talent Manager di Cegeka Italia
● Tiziano Suprani, Corporate Human Resources Officer di Ferroli Group
● Sergio Turco, People Director Italy & Albania di Auto1 Group

L’evoluzione del recruiting personalizzato
Ma come si arriva all’HR designer partendo dalla talent scarcity? Semplice. Ci si arriva riconoscendo l’evidenza che per contrastare questo fenomeno occorre ripensare da zero non soltanto la candidate experience, ma l’intero ciclo di vita della persona in azienda.

Per essere ancora più diretti, l’HR non può più permettersi il rischio di pensare alla persona solo durante la fase del recruiting. Dovrebbe invece disegnarle intorno un’architettura esperienziale più complessa e personalizzata. Ma soprattutto, un’esperienza che la coinvolga da quando è soltanto un potenziale candidato a quando, si spera dopo molti anni, questa risorsa potrebbe essere un ex collaboratore.
Le fasi di una candidate experience completa:
● candidato passivo
● candidato attivo
● candidato ingaggiato
● attivazione del processo di recruiting
● onboarding
● induction
● evoluzione personale e professionale
● feedback periodico
● offboarding
I limiti dell’attuale visione “recruiting centric”
Ecco dunque come si arriva ai limiti dell’attuale visione del ruolo di HR, e all’esigenza di proiettarlo in una nuova dimensione. Per contrastare fenomeni come la scarsità di talenti, sempre più professionisti del settore avvertono infatti la necessità di costruire modelli di people experience che non si limitino al solo recruiting.

Anzi, si pensa a modelli che vadano perfino oltre la funzione HR e abbraccino divisioni e competenze diverse in azienda.

Un concetto sintetizzato molto bene da Tiziano Suprani, Corporate Human Resources Officer di Ferroli Group, in un passaggio davvero illuminante del suo intervento. “Il recruiting è una parte del nostro lavoro quotidiano – ha spiegato Suprani – però dentro questa parte c’è anche qualcuno di ‘esterno’ che sono i futuri capi di quei candidati che noi ci impegniamo a ingaggiare e a portare a bordo. Per capirci, quella che un tempo si chiamava ‘la linea’, i loro riporti diretti una volta entrati in azienda.

E su questa linea, su questa porzione di colleghi non HR che entra in contatto con i candidati, non viene svolta nessuna formazione, nessun lavoro specifico. Noi HR impariamo ogni giorno cose nuove, conosciamo strumenti e acquisiamo nuove capacità, ma le nostre linee, quelli che saranno i reali gestori dei nostri candidati, a loro nessuno insegna nulla. E questo crea un problema. Ma soprattutto genera abbandono da parte dei candidati stessi. Ecco, su questo aspetto siamo rimasti arretrati – ha aggiunto – siamo rimasti nel mondo “di prima”, se così si può dire. Quindi è evidente che c’è un problema anche di educazione e di cultura dei capi”.
La visione dell’HR designer
Una visione condivisa anche da Tiziano Stivaletta, che il tema dell’HR designer lo tocca senza nemmeno il bisogno di citarlo direttamente. Gli basta parlare di cosa c’è e soprattutto di cosa manca, oggi, alle organizzazioni a caccia di talenti.

“Una people strategy oggi non può esimersi dall’avere una visione a 360 gradi di employer branding, attraction, acquisition e retention – ha commentato il responsabile Talent Acquisition & Learning di Sicuritalia – Perché lavorare solo su una di queste aree, come ad esempio il recruiting che è la più semplice, è davvero troppo rischioso. Una scelta di questo tipo, oggi, porta al fallimento dell’intera strategia HR. Perché genera disequilibri che a loro volta portano poi le persone a uscire nel giro di pochi mesi”.
Cegeka punta sul valore del percorso
Alessio De Fazio si è spinto perfino oltre la teoria. Per dimostrare la propria aderenza a questa nuova visione della funzione HR, il Talent Manager di Cegeka Italia porta a contributo l’esperienza diretta vissuta nella sua organizzazione. Sentiamo.

“Tempo fa noi abbiamo fatto la scelta di includere nello stesso ufficio i temi legati al recruiting, all’employer branding e al learning & development – ha raccontato De Fazio – So che sono tante cose tutte diverse, ma sono tutte expertise funzionali a un unico obiettivo. Che è quello di acquisire il talento, portarlo in azienda e coltivarlo nel corso del tempo”.
Tutto in un unico ufficio:
● recruiting
● employer branding
● learning & development

“La scelta che abbiamo fatto – ha aggiunto De Fazio – è stata in pratica quella di costruire un percorso che va dalla candidate experience alla employee experience. Cercando di ‘riempire’ tutti gli step intermedi di contenuti autentici, dal percorso di selezione alle diverse fasi di vita in azienda. In questo contesto, tutte e tre le aree sulle quali lavora il mio uffficio diventano fondamentali”.
Customizzare l’esperienza di lavoro
Insomma, compito dell’HR designer sarà mettere insieme più competenze, più divisioni e più strumenti diversi tra loro. Con l’obiettivo di rivolgersi con la stessa efficacia a una popolazione aziendale non una, non due, non tre, ma almeno cinque volte più articolata di quella che viveva l’organizzazione fino a poco tempo fa.

“Dobbiamo cercare di creare un ambiente che possa accogliere differenti tipi di popolazione aziendale – ha aggiunto Stivaletta tracciando metaforicamente il profilo dell’HR designer – Nelle organizzazioni oggi vivono e lavorano fino a 5 generazioni di professionisti. Per questo il segreto è la customizzazione dell’esperienza. Che significa certamente un lavoro bestiale lato HR perché non si finisce mai di cercare di soddisfare i bisogni di ciascun profilo. E nonostante questi sforzi, ci sarà sempre quello scontento, quello che si lamenterà. Eppure non possiamo non riconoscere che le politiche HR oggi non possono più essere massive, ma devono essere il più possibile customizzabili”.
Il case study di Auto1
Disegnare esperienze personalizzate è anche quello che stanno facendo in Auto 1, come ci ha spiegato Sergio Turco, People Director Italy e Albania dell’azienda che facilita l’acquisto e la vendita di auto usate.

“Per imporci come leader di mercato e diventare attrattivi per il target di candidati che ricerchiamo, per noi è stato fondamentale lavorare sull’employer branding” ha commentato Turco, immaginando così anche lui le caratteristiche di un ipotetico HR designer.
Formare vuol dire “costruire intorno”
Ma se la funzione HR del futuro dovrà effettivamente essere un disegnatore di esperienze, allora questa figura dovrà innanzi tutto essere pronta a mettere in discussione le basi stesse della sua professione. E ricalibrare perfino la propria idea di “talento”.

Perché? Perché da cosa si intende con questa definizione si avrà un’idea diversa anche sul come e sul dove andare a cercarlo.

“Sulla questione del talento – ha aggiunto Fabio Turco – personalmente non riesco a vedere una definizione assoluta di cosa sia. Per me il talento è molto relativo. C’è solo una cosa di assoluto per chi fa il nostro lavoro: ed è il match perfetto tra cosa cerca l’azienda e quel che offre il candidato. Candidato che può essere interno o esterno. Tutto il resto è relativo.

Lo dico perché investire sulla formazione, e dare possibilità di carriera diverse alle persone che sono già in azienda, è un altro aspetto interessante su cui gli HR dovrebbero impegnarsi di più. Molte storie di ‘switch professionali’ sono state storie di successo”.
Anche un HR designer ha bisogno di una regia
Più che una semplice evoluzione del ruolo, quella dell’HR designer sembra dunque dover essere la destinazione finale di una funzione che è già impegnata a tenere insieme i principali elementi della people strategy.

La sfida, in futuro, sarà appunto unire i puntini e creare un disegno complessivo. Ovvero un’architettura HR capace di toccare più aspetti possibili della relazione tra le persone e la nostra organizzazione.

Una prospettiva a cui Monster lavora con successo da anni. Tanto da dedicare a questa sfida una soluzione. Si chiama Empoloyer Branding On Demand ed è lo strumento che promette di diventare la cabina di regia di ogni funzione HR. Scopri ora la nostra soluzione per migliorare la presenza sul mercato e incidere sulla capacità di attraction della tua azienda.