Per aggirare la talent scarcity bisogna assumere lifelong learners

Per aggirare la talent scarcity bisogna assumere lifelong learners

Sulla scala dei cosiddetti talenti, i lifelong learners, quanto valgono? La domanda potrebbe spiazzare quegli HR che in tempi di talent scarcity hanno dovuto abbassare l’asticella e smesso di cercare l’equivalente professionale dei diamanti nel deserto. Però un ragionamento su cosa intendiamo quando parliamo di “talento”, prima o poi, dovremo pure farlo.

Pensateci un attimo. Non facciamo che ripetere che il mercato del lavoro è cambiato a una velocità impressionante. E che questo cambiamento ha stravolto ogni certezza.

Nel giro di pochi anni, del lavoro sono cambiati i tempi, i modi, l’organizzazione, gli spazi, le relazioni, le priorità, lo scopo. Perfino il commuting non è più quello di una volta! E allora, se tutto questo è cambiato, perché l’idea che avevamo del “talento”, invece, dovrebbe essere rimasta la stessa?

Da qui la domanda a cui cercheremo di rispondere con questo articolo. Una domanda la cui risposta potrebbe diventare un autentico game changer per le direzioni HR in anni profondamente segnati dal talent shortage. Una domanda che suona più o meno così: e se il vero talento, adesso, fosse diventato un’altra cosa?

Lifelong learners: quando il talento è saper apprendere

Già, ma cosa? Non aspettatevi un’analisi contorta per trovare una risposta. Ai lifelong learners ci arriviamo con un ragionamento semplice e abbastanza intuitivo. In soccorso, però, ci vengono le riflessioni degli analisti del World Economic Forum. I quali, pensando all’attuale crisi del talento, tempo fa, avevano parlato nientemeno che di “reskilling revolution”. Spiegando come:

  • entro il 2030, più di 1 miliardo di persone dovrà essere riqualificato
  • il 42% delle competenze di base per svolgere lavori esistenti sono già cambiate
  • vendite, risorse umane, cura della persona e istruzione sono i settori più impattati

Insomma, provando a semplificare, possiamo dire che il problema dei talenti che mancano alle aziende non risiede nel numero dei professionisti presenti sul mercato, semmai nelle loro competenze, che stanno “scadendo” a un ritmo vertiginoso. Tradotto: non è sulle persone, che dobbiamo concentrarci, ma sulle abilità di cui il loro sapere è composto.

Ed ecco allora l’intuizione: se il problema non sono i candidati, per uscire dalla crisi basterà individuare quelli più adatti a riprogrammare costantemente il loro sapere. I lifelong learnes.

Il vantaggio di assumere un lifelong learners

Che poi, se ci pensate un secondo, i lifelong learners non sono altro che la versione moderna di quei candidati a cui, nei primi Anni Duemila, le aziende chiedevano imprenditorialità. Solo che allora c’era bisogno di un certo dinamismo dopo decenni vissuti all’ombra del mito del “posto fisso”.

Ora lo scenario, come abbiamo visto, è cambiato alla radice. Le imprese cercano sul mercato un sapere fluido. E gli unici che possono garantire questa fluidità sono proprio i lifelong learners. Cioè quei candidati con una spiccata inclinazione all’apprendimento costante. Quei candidati che trattano il proprio sapere come un sistema di vasi comunicati in continuo movimento.

La “cultura dell’apprendimento permanente” è già un driver per le organizzazioni più illuminate. Perché lo considerano l’unico modo di mantenere alto il loro livello di competitività. In quest’ottica, individuare ed assumere lifelong learners costituisce, oltre che un imperativo economico, anche l’unico vantaggio competitvo sostenibile nel lungo periodo.

Ecco perché, nella valutazione di un candidato, il tema di “come aggiorna le sue competenze”, oggi può fare la differenza.

Lifelong learners: come impostare la ricerca e selezione

Come spesso accade, nella gestione delle risorse umane il difficile è trasformare la teoria in pratica. In particolare, qui si tratta di impostare una strategia di ricerca e selezione di lifelong learners in tempi di talent scarcity.

Per semplificare il lavoro delle divisioni HR, abbiamo individuato tre step. Vediamoli insieme:

  1. Conoscere l’idea di “apprendimento” del candidato: il come, non il cosa
  2. Valutare recenti esperienze di apprendimento del candidato
  3. Definire e trasmettere l’idea di apprendimento secondo l’azienda

Inutile dire che una generale curiosità, un’inclinazione per il lavoro organizzato e un certo metodo nell’approccio alla risoluzione dei “problemi”, sono già elementi distintivi di un candidato tendenzialmente pronto a riprogrammarsi nel corso della sua vita in azienda.

Tre fasi per riconoscere i lifelong learnes sul mercato

Cominciamo dalla prima e analizziamo una a una le tre fasi necessarie per riconoscere i lifelong learners sull’attuale mercato del lavoro.

1.   Conoscere l’idea di “apprendimento”: il come, non il cosa

Di cosa parliamo quando parliamo di capacità di riprogrammare il proprio talento? Cosa vuol dire, cioè, per un candidato, avere la “cultura dell’apprendimento”? In fase di colloquio, è fondamentale conoscere l’idea di apprendimento di chi abbiamo davanti.

Allo stesso tempo è indispensabile non avere pregiudizi rispetto alle nuove forme di conoscenza che il candidato può utilizzare per migliorare il suo sapere.

Esiste infatti una marea di contenuti da cui oggi si può imparare: corsi, podcast, influencer, letteratura, tool, canzoni, libri, film, conversazioni sui social, testimonianze altrui. La domanda che dobbiamo porci, da recruiter, infatti, non sarà più cosa imparano, ma come imparano i talenti. E, da quel come, individuare un lifelong learner.

Come fa il candidato a dare un senso alla marea di informazioni con cui si relaziona? Come affronta e gestisce il sovraccarico di contenuti? In che modo seleziona ciò che è più rilevante e lo elabora in modo che questo nuovo sapere migliori la sua conoscenza?

2.   Valutare recenti esperienze di apprendimento del candidato

I lifelong learners sanno come e quando imparano qualcosa. Sono entusiasti per natura di questa evoluzione. E non avranno problemi a condividere piccole o grandi scoperte recenti con il selezionatore. A patto che il colloquio di lavoro sappia valorizzare fin dall’inizio il valore dell’apprendimento.

A patto, cioè, che il recruiter manifesti fin da subito interesse per questa particolare inclinazione del suo interlocutore.

3.   Definire e trasmettere l’idea di apprendimento secondo l’azienda

Poi verrà il momento inverso. Quello, cioè, in cui toccherà al recruiter dire cos’è “apprendimento” secondo l’organizzazione. E in questo caso l’invito è quello di arrivare al colloquio preparati.

In questa fase è fondamentale rassicurare il candidato sul fatto che la sua curiosità è nelle mani giuste. Per farlo, il recruiter può raccontare come viene incentivata la formazione di nuovo sapere in azienda. Quali sono gli aspetti più importanti per un nuovo profilo, e dove ci si aspetti che arrivi nel giro di qualche anno

I lifelong learners sono davvero la risposta alla talent scarcity?

Abbiamo aperto questo articolo descrivendo i lifelong learners come la migliore risposta alla talent scarcity. E lo chiudiamo avendo rafforzato questa convinzione.

Ma sappiamo bene che un processo di ricerca e selezione così accurato richiede risorse e tecniche che non tutte le organizzazioni sono in grado di mettere in campo.

Per questo, in Monster, abbiamo ideato soluzioni che rispondono a bisogni diversi. Perchè hanno obiettivi di business diversi. Scopri ora Pay for Performance, la nuova flessibile soluzione Monster di Recruiting Marketing che ti permette di pagare solo per gli obiettivi di recruiting che raggiungi. Come assumere lifelong learners e programmare con loro obiettivi a medio-lungo termine.