L’inserimento dei giovani nelle organizzazioni

di Andrea Castiello d’Antonio, Luciana d’Ambrosio Marri

Entrare nel mondo del lavoro
L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro – la cosiddetta socializzazione organizzativa – è un tema tipico della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e dovrebbe rappresentare un impegno di routine per le Direzioni del Personale, sia in ambito pubblico, sia nel mondo del privato. Ma il condizionale è d’obbligo in quanto – nonostante la rilevanza dell’argomento – sembra che vi sia sempre stata un’attenzione altalenante da parte del mondo del lavoro verso ciò si definisce l’accoglimento dei neoassunti. Sono lontani i tempi degli ultimi due decenni del secolo scorso, che ha forse rappresentato il momento di maggior splendore dell’accoglimento organizzativo, lì dove le grandi imprese e le holding dei gruppi strutturavano percorsi analitici e ampi di inserimento, informazione e formazione dei giovani. Paradossalmente, in alcuni casi, soprattutto in riferimento ai giovani laureati in discipline tecnico-scientifiche, in quei tempi si rischiava che le persone abbandonassero l’iter di inserimento percepito troppo lungo nel tempo, spinte dal desiderio (legittimo) di mettere al più presto in pratica ciò che avevano studiato nel corso degli anni universitari. D’altro canto, all’opposto, il mondo delle PMI ha raramente avviato dei veri e propri percorsi di accoglimento, talvolta con la giustificazione dei piccoli numeri di assunzioni che erano effettuate – ma si deve subito notare che un percorso di accoglimento può essere impiantato anche in riferimento a pochi neoassunti, pur se con modalità del tutto differenti dai classici momenti di formazione-informazione che riguardano i gruppi di giovani appena inseriti nelle organizzazioni -.

I motivi concreti per i quali il mondo del lavoro dovrebbe organizzare i percorsi di accoglimento sono racchiusi in una frase sintetica che suona così: Nessuno è nato per il lavoro dipendente! Ergo, è necessario addestrare, educare, orientare, favorire l’avvicinamento del giovane al mondo del lavoro, partendo dal presupposto che il giovane ha appena terminato un “lavoro ben conosciuto” (lo studio) e si avvicina ad un mondo che non conosce. Ed anche coloro che hanno effettuato stage e tirocini, pur se avvantaggiati per tale motivo, una volta entrati nella struttura organizzativa, e diventati parte integrante dell’azienda o della pubblica amministrazione, necessitano di essere guidati e di ottenere rapidamente tutte le informazioni di base atte a consentirgli il miglior ingresso possibile nel mondo del lavoro e – ancora più importante – nello specifico ambiente lavorativo nel quale sono accolti.

Il vantaggio dell’organizzazione
Un buon percorso di inserimento e socializzazione organizzativa funziona, innanzi tutto, in senso preventivo. E’ vero che viviamo in un Paese in cui il concetto di prevenzione non sembra particolarmente compreso e il più delle volte si rincorrono i problemi – creati dalle stesse istituzioni ed organizzazioni di lavoro – o si affrontano quando sono diventati ineludibili: cioè, in genere, molto tardi. Dunque, operare al fine di promuovere un “sano” incontro tra individuo ed organizzazione, andando al di là della firma del contratto e puntando su quella particolare forma di “intesa” nota come contratto psicologico di cui Argyris e Schein hanno diffusamente parlato, rappresenta senza dubbio un vantaggio per l’organizzazione che accoglie i neo-assunti. Non si tratta solo di individuare e valorizzare fin dall’inserimento i “giovani talenti” ma di mettere in condizione ogni neoassunto di esprimere le proprie specifiche aree di talento soggettivo e le proprie aree di miglioramento in modo da muoversi in modo il più possibile consapevole, a vantaggio di se stesso e dell’Organizzazione in cui opera.

Ciò è possibile solo se, in parallelo a momenti formativi mirati a rispondere alle necessità non solo tecnico-professionali e specialistiche della risorsa, ma anche alle necessità di sviluppo di competenze trasversali e /o invisibili, (a) i capi vengono formati alla responsabilità gestionale del proprio comportamento in quanto influente e formante il neoassunto affidato loro, e (b) i colleghi più anziani vengono formati alla cura del patrimonio di conoscenze formali e informali di cui sono portatori e, come tali, “patrimonio” da trasmettere ai più giovani. Ciò ha anche lo scopo di ridefinire un equilibrio di valorizzazione reciproca tra le generazioni e quindi delle differenze: infatti, si nota spesso che gli anziani tendono a “snobbare” i giovani delle cosiddette Generazione X e Generazione Y in quanto percepiti “lontani”, molto diversi, orientati a differenti valori motivazionali e di rapporto con il valore-lavoro – quasi dei marziani! -. D’altra parte, gli anziani, non necessariamente sull’onda del pensionamento ma appartenenti a fasce di età intorno alla cinquantina, da molti neo-assunti vengono percepiti come dei “rappresentanti jurassici” di un altro mondo, di un’altra era, poco in sintonia con la rapidità, con la contemporaneità di utilizzo di diversi media e fonti di informazione, con le modalità accelerate di utilizzo delle risorsa tempo. La valorizzazione delle differenze generazionali, oltre che – per esempio – di quelle di genere, diventa un terreno sul quale la crescita delle persone, giovani e meno giovani, costituisce uno degli assi portanti attuali della “filosofia” di gestione delle persone attraverso il quale le aziende (pubbliche o private, industriali o di servizi) si giocano un grande valore: quello dello sviluppo della Conoscenza e dell’Apprendimento Diffuso. Valore strategico per la qualità della produttività e del benessere organizzativo.

Le necessità dei giovani neoassunti
In anni passati ci siamo estesamente dedicati alla formazione di ingresso dei neo-assunti ed abbiamo formulato diverse proposte, ma anche socializzato le esperienze, in articoli pubblicati sulle riviste di management e di psicologia del lavoro. Questi lavori erano indirizzati ai gestori delle risorse umane ed alle direzioni del personale: ma il medesimo tema può essere proficuamente considerato dal punto di vista del giovane neo-assunto. Alle problematiche aperte su tali fronti abbiamo dedicato di recente un libro – Come muovere i primi passi in azienda, Castiello d’Antonio, d’Ambrosio Marri, (Franco Angeli, 2010) -.

Il mondo del lavoro nel suo complesso è un mondo complicato per coloro che vi trascorrono anni e decenni, e quello dell’azienda lo è altrettanto, se non di più: da qui è nata l’idea del libro, che reca come sottotitolo “bussole, attrezzature e suggerimenti per inserirsi al meglio nei nuovi contesti di lavoro”, indirizzato a coloro che, nella realtà di lavoro, stanno per entrare o vi sono inseriti da un tempo relativamente limitato. L’obiettivo non è fornire ricette impossibili o magiche formule che sostengano il passaggio delicato dal mondo, dai ritmi e dagli interlocutori dello “studio” al mondo, ai ritmi e agli interlocutori inerenti il “lavoro”. Ci sono tanti tipi di realtà e tanti modi di affrontare l’ingresso in azienda, ma alcuni sono senza dubbio più costruttivi e consapevoli, altri non lo sono altrettanto, oppure non lo sono affatto.

Lo scenario globale e l’inserimento locale ma culturalmente stile open mind necessitano di munirsi di attrezzature specifiche sia da parte dell’Organizzazione, sia da parte del neo-assunto. Rispetto al passato, sono saltate (nel bene o nel male) la sicurezza e la continuità del rapporto di lavoro, ed ha acquisito alto valore il tempo dedicato al privato; il tempo di lavoro, anche se non è detto che esista un confine netto tra le due dimensioni, passa spesso in secondo piano, a meno che non abbia i requisiti che soggettivamente vengono riconosciuti come motivazionali e di qualità. Ma il neo-assunto non è solo la persona che per la prima volta varca l’ingresso in azienda, ma lo sono tutti coloro che, anche anagraficamente non più giovanissimi, ri-entrano in azienda, dopo essere usciti da un’altra, o dopo aver vissuto un periodo di unemployment. Costoro hanno davanti un’altra realtà, tutta da scoprire e conoscere: portano con sé l’imprinting di quella precedentemente vissuta, con il beneficio di un patrimonio utilizzabile in modo diverso, ma con il rischio di trasformare questo patrimonio in una gabbia mentale o in un’attrezzatura incapace di adeguamenti flessibili alla nuova situazione professionale.

Dunque il concetto di “neo-assunto” andrebbe considerato in senso assai più vasto rispetto al classico neodiplomato o neolaureato che è al suo primo approccio con il lavoro. Non a caso vi sono oggi esperienze di ri-socializzazione organizzativa indirizzate, ad esempio, alle donne che rientrano nell’Organizzazione dopo il periodo di maternità. In tale ottica sarebbe dunque importante prendersi cura dell’intera vita della persona-al-lavoro, dal momento in cui entra, fino al pensionamento, in sintonia con ciò che oggi si conosce dell’essere umano considerato come soggetto continuamente in evoluzione e trasformazione.

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