Mettetevi comodi: il lavoro da remoto è qui per restare

Dentro e fuori dalle organizzazioni c’è ancora un po’ di scetticismo, ma per le divisioni HR non è nemmeno più il caso di discuterne: sul lavoro da remoto non torneremo più indietro.
Lavoro da remoto: moda passeggera o cambio epocale?
Che il lavoro da remoto non fosse una moda passeggera lasciata in eredità dalla pandemia lo abbiamo capito abbastanza in fretta. Quello che però non potevamo aspettarci è che, appena qualche anno più tardi, lo smart working si sarebbe rivelato uno dei cambiamenti strutturali più importanti nel mercato del lavoro negli ultimi cinquant’anni.

Ma come siamo arrivati fino a questo punto? Come siamo passati dal guardarla con sospetto a considerare questa forma di flessibilità il pilastro irrinunciabile di ogni employee value proposition? E soprattutto: perché oggi guardiamo a questo strumento come il più importante elemento di attraction e retention a disposizione delle organizzazioni?

Proveremo a rispondere in questo articolo. Cercando di spiegare non soltanto a che punto siamo oggi con il lavoro da remoto, ma anche che cosa è giusto aspettarsi nei prossimi anni.
Lo smart working cresce (e la pandemia non c’entra).
La sensazione, osservando la vita nelle organizzazioni, è che col lavoro da remoto siamo soltanto all’inizio di un percorso di consapevolezza che si preannuncia lungo, ma ben avviato. Una sensazione supportata anche dalle riflessioni e dalle analisi che in questi anni ci hanno mostrato cosa è successo con lo smart working da quando la pandemia ha allentato la presa.

L’ultima fotografia sullo stato del lavoro da remoto in Italia è quella scattata dai ricercatori dell’Eurostat, l’istituto di statistica interno all’Unione Europea, che mostra un’Europa a due velocità e un’Italia che si colloca a metà strada tra queste.

A trainare sono i paesi del Nord, con quelli dell’Est a fare da fanalino di coda. In mezzo, il Centro e il Sud Europa. Italia compresa. Basta osservare la percentuale delle imprese che oggi adotta forme di lavoro agile nell’eurozona.
Il lavoro da remoto in Italia e in Europa:
● Svezia (79,4%)
● Finlandia (78,5%)
● Danimarca (78%)
● Italia (44,3%)
● Romania (31,2%)
● Ungheria (29,4%)
● Bulgaria (28,2%)
Il lavoro da remoto è il lavoro del futuro.
Ma la vera notizia contenuta nel rapporto Eurostat è che la sensibilità verso il lavoro da remoto continua a crescere man mano che ci si allontana dalla pandemia.

Un trend confermato anche dai dati dell’ultimo rapporto elaborato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Secondo questa indagine, dopo un lieve calo immediatamente successivo alla fase emergenziale, nei prossimi anni la percentuale di lavoratori italiani che svolgerà le proprie mansioni lontano dall’ufficio tenderà progressivamente a crescere.

Portando a circa il 60% la quota di aziende che nei prossimi anni adotterà una forma di lavoro flessibile o da remoto. Ad oggi i lavoratori italiani che hanno questa flessibilità sono circa 3,6 milioni, quasi mezzo milione in meno rispetto alla fase dei lockdown. Ma la cifra è destinata a crescere anche per il consolidamento dei modelli organizzativi ibridi già implementati nel settore privato, e in fase di organizzazione in quello pubblico.
I numeri dello smart working italiano
● 3,6 milioni di remote workers
● 500 mila in meno rispetto al periodo di emergenza
● + 60% le “remote first company” nei prossimi anni
Piace alle aziende perché piace alle persone.
Ma qual è la verità dietro questi numeri? Semplice: che alle aziende il lavoro da remoto piace. E piace per una ragione abbastanza scontata: piace, perché piace alle loro persone.

Le organizzazioni hanno infatti molto chiari i vantaggi del lavoro da remoto per i propri collaboratori. E sanno che di lavoratori motivati non possono più farne a meno. Specie con gli attuali livelli di job hopping e in tempi di talent scarcity come quelli che stanno affrontando le divisioni HR.

Per questo nel futuro del mercato del lavoro ci sarà sempre più flessibilità. Perché a chiederla saranno le nuove generazioni di professionisti. Non più disposte ad accettare il lavoro “ad ogni costo”, ma sempre più inclini a trovare un’organizzazione disposta ad offrire forme di ristoro e di conciliazione in cambio del tempo “ceduto” al datore di lavoro con il resto della giornata.

Nascono le prime “remote first company”.
Ma cos’è che piace del lavoro agile? Intanto, lavorare da casa fa risparmiare tempo e denaro. Azzera (o riduce al minimo) lo stress legato al commuting. E per molti collaboratori, soprattutto donne, significa una reale possibilità di work-life balace. Senza contare le forti implicazioni in tema di sostenibilità e impatto ambientale. Oltra a un miglioramento generale del benessere psico-fisico legato alla sfera professionale. E tutto questo, al netto degli stessi livelli di produttività individuale e collettiva.

A cosa si deve l’appeal del lavoro da remoto:
● fa risparmiare tempo e denaro
● riduce lo stress dovuto al commuting
● offre un migliore work-life balance
● riduce l’impronta ambientale dei singoli e delle imprese
● migliora il benessere psico-fisico
● non impatta negativamente sulla produttività

È anche per questi motivi che i numeri degli annunci di lavoro per posizioni da remoto o ibride sono aumentati vertiginosamente dopo la pandemia. O che molte piccole e medie organizzazioni stanno cercando di rilanciare le proprie ambizioni di recruiting proponendosi come “remote first company”.
Il lavoro da remoto spinge attraction e retention.

Se siete HR mettetevi comodi, dunque, perché il lavoro da remoto sembra essere qui per restare. Ma al netto dei tanti vantaggi offerti, compreso un interessante ritorno in termini di attraction e retention, anche questo strumento potrebbe non bastare per rilanciare la strategia di recruiting della vostra organizzazione.

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