Cinque sfide per l’HR: ora in azienda c’è una forza lavoro multigenerazionale

Cinque diversissime generazioni di professionisti riunite attorno a un’unica cultura d’impresa. Vista così, quella di una forza lavoro multigenerazionale dovrebbe essere la prima fonte di preoccupazione per le nostre organizzazioni.
Mai prima di oggi cinque generazioni così distanti – anagraficamente, culturalmente, esperienzialmente – avevano convissuto attorno allo stesso modello d’azienza. Ci sarebbe insomma già di cosa discutere. E invece le divisioni HR italiane continuano pericolosamente a ignorare la portata della faccenda.
Con il rischio evidente di vedere aumentare in maniera ciclica e intermittente l’insoddisfazione di gruppi di persone al proprio interno. Una minaccia fin troppo evidente per la propria competitività e il proprio business.
Cosa vuol dire forza lavoro multigenerazionale
In questo articolo proveremo allora a comprendere il valore di una forza lavoro multigenerazionale e in che modo la sua gestione abbia a che fare con il riconoscere la necessità di piani organizzativi più inclusivi. Che riconoscano cioè i diritti degli uni, senza compromettere quegli degli altri.
Ma intanto capiamoci. Cosa intendiamo per forza lavoro multigenerazionale? Non nel senso letterale del termine, naturalmente. Quello che ci interessa è capire cosa significhi in termini organizzativi. Ancora più concretamente, cosa vuol dire per una divisione HR pensare a un’azienda spinta non da uno, ma da ben cinque “pistoni” generazionali che si muovono a velocità diverse?
Quali sono le cinque generazioni dell’attuale mercato del lavoro:
● Tradizionalisti (fino al 1945)
● Baby Boomer (1946-1964)
● Generazione X (1965-1980)
● Generazione Y o Millennial (1982-1996)
● Generazione Z (1997-2012)
Attualmente, la forza lavoro multigenerazionale è composta da persone di cinque diversi gruppi di età: i Tradizionalisti (ovvero i nati fino al 1945, di solito inseriti tra le figure apicali dell’azienda), i Baby Boomer (1946-1964), la Generazione X (1965-1980), la Generazione Y (o anche detti Millennial, nati tra il 1981 e il 1996) e la Generazione Z (1997-2012).
Perché è un valore per le organizzazioni
D’accordo, cinque generazioni tutte insieme rischiano di trasformare un’organizzazione – anche la più illuminata e proiettata alla New Way of Working – in un’autentica polveriera. Ma questo è un rischio che aumenta con l’aumentare dell’indifferenza delle divisioni HR rispetto al fenomeno.
Per le imprese che invece scelgono di navigare il cambiamento in corso, e di comprendere il senso di avere a che fare con cinque “gruppi” di lavoratori così diversi, quella di una forza lavoro multigenerazione rappresenta un’autentica opportunità. E promette di trasformarsi in una incredibile leva strategica di business.
Lo dicono le ricerche e i numeri che accompagnano il fenomeno. Ma è evidente anche da cosa emerge dalle storie di imprese che vivono già questa condizione. E che sperimentano da tempo vantaggi evidenti, come ad esempio:
● aumento della produttività
● miglioramento delle performance dei team più giovani
● maggiore condivisione tra le funzioni
● meno disengagement e turnover più basso
● più stabilità e continuità di rendimento tra le diverse aree
● migliore distribuzione dell’innovazione nell’azienda
Qualcuno ha detto inclusione?
Inutile girarci intorno, però. Quello della forza lavoro multigenerazione è anche un tema di inclusione. Anzi, è soprattutto un tema di inclusione.
E infatti tra chi sul piatto della bilancia mette soprattutto i pregi, ci sono quelle organizzazioni che hanno saputo creare attorno a questo fenomeno modelli di impresa orientati all’inclusività. In grado, cioè, di intercettare bisogni agli antipodi tra loro. Ma che sono il portato di una cultura che è propria della generazione a cui appartengono.
Cinque generazioni, cinque modi di vivere il lavoro
Proviamo a conoscere nel dettaglio le necessità di questi professionisti. Cominciando, naturalmente, dai meno giovani.
1. I tradizionalisti: non che ci sia molto da dire sul loro conto, avendo i tradizionalisti abbandonato da un pezzo la fase operativa, per dedicarsi a quella strategica dell’organizzazione. Ed è proprio da loro, quindi, che si può assorbire il massimo dell’eredità culturale e valoriale dell’azienda e trasmetterlo alle nuove generazioni. Con i tradizionalisti il ruolo dell’HR è semplice: vanno “accompagnati” all’uscita del mercato mediante un percorso di valorizzazione della loro esperienza.
2. I Baby Boomer: letteralmente figli del boom economico, occupano posizioni di tutto rispetto in azienda. Molti di loro non vivono, molti di loro sono il proprio lavoro. Questo vuol dire che per l’HR la sfida sarà quella di continuare ad assicurare loro lo status che si sono guadagnati con anni di presenza sul mercato. Non cercano riscatti personali, sentono di aver “già dato”, ma si aspettano una letiggimazione del proprio ruolo anche attraverso un livello di benessere retributivo e integrativo adeguato.
3. La Generazione X: i 15 anni che uniscono i nati in questa generazione fanno di questi professionisti forse il gruppo più eterogeneo. Con loro l’HR è chiamato a un grande compito di analisi e comprensione dei bisogni, che possono essere molto diversi tra chi si trova all’inizio e chi alla fine della fascia di età. Da questa generazione il tema della flessibilità comincia ad avere un peso, insieme a quello della salute e della stabilità economica e professionale.
4. I Millennial: sono i più impattati da fenomeni come Great Resignation e Quiet Quitting. Figli della precarietà del proprio tempo, questi professionisti entrati nel mercato del lavoro già con rare certezze, dalla pandemia hanno ricevuto il famoso colpo di grazia. Dal lavoro si aspettano flessibilità (soprattutto flessibilità!), ma anche stimoli, un buon clima aziendale, uno stipendio decente e la prospettiva reale di una evoluzione. Gli HR sono avvertiti.
5. La Generazione Z: o i “valoristi”. Nel senso che per questi professionisti il lavoro è un mezzo sempre meno determinante per raggiungere una soddisfazione personale che si declina in mille altre accezioni. Uno strumento, potremmo definirlo, che serve più che altro per accedere a un ideale di vita fondato su valori “alti”. Per questo, prima ancora che uno stipendio, cercano condizioni di lavoro ottimali, un clima aziendale sereno e costruttivo, un datore di lavoro corretto e che rivendica il suo scopo nel mondo.
Una forza lavoro multigenerazionale si costruisce dal recruiting
Le opportunità di una forza lavoro multigenerazionale sono però anche commisurate alla capacità che le organizzazioni avranno di garantirsi una popolazione aziendale quanto più eterogenea possibile.
Per farlo, il primissimo sforzo implica l’eliminazione dell’age-bias dalla propria strategia di ricerca e selezione. L’utilizzo di linguaggi neutri e inclusivi di tutte le età dalle job description sono altre soluzioni a disposizioni delle divisioni HR.
Esistono poi strumenti in grado di massimizzare lo sforzo della tua azienda in termini di ricerca e selezione. Uno di questi è il Pay for Performance di Monster. Scopri ora la soluzione 100% flessibile che ti permettere di pagare solo per gli obiettivi di recruiting effettivamente raggiunti.