“Il talento? In Ducati facciamo manutenzione anche a lui. Chi entra da noi poi ha già un curriculum di valore”

Se passi la vita a cercare talento per metterlo al servizio di un’idea d’impresa che valuta la propria efficienza su millesimi di secondo, che insegue codici estetici elitari o che racconta di un certo gusto tutto italiano per l’eccellenza, che si tratti di telecomunicazioni, pasta, due o quattro ruote, cosa vuoi che cambi.

Luigi Torlai deve essersene accorto strada facendo. In uno di quei passaggi che, nel corso della sua lunga carriera, lo hanno portato ad occuparsi di risorse umane prima in Telettra (gruppo Fiat), poi in Barilla, passando per Ferrari e Maserati. E ora che guida i processi di selezione in Ducati, gioiello motociclistico di Borgo Panigale, del merito si è fatto un’idea cristallina: l’unico a cambiare, nel tempo, sei tu che lo insegui. Perché lui, il talento, resta quello. Sempre e ovunque. Peccato solo non lo si possa misurare in anticipo.

 

 

E quindi per capire se chi si ha davanti può fare al caso nostro, com’è che ci si comporta?

Beh, ci si basa di volta in volta sui valori dell’azienda che si rappresenta. Di solito funziona.

 

E con le origini, invece, come la mettiamo? Ne La Grande Bellezza Sorrentino fa dire a uno dei suoi personaggi “Lo sa perché mangio radici? Perché le radici sono importanti”. Ducati non si è mai mossa da Borgo Panigale. Allora sono davvero così importanti le radici, o in un’epoca in cui tutto è cloud non fanno più la differenza?

Vede, oggi con un clic si può trasmettere tecnologia da una parte all’altra parte del mondo, in un microsecondo, senza problemi. E quindi si possono fare le stesse cose, allo stesso modo, con la stessa efficienza qui, come in Tailandia, come pure in Cina. Però le radici sono davvero molto importanti, perché sono come il lievito: le prendi qui, le metti da un’altra parte, e quelle si ricreano dove tu le hai messe, con gli stessi identici valori. Nel nostro caso, lo fanno perché vengono da qui. Perché il lievito è questo.

 

Efficienza ingegneristica, innovazione spinta ai massimi livelli, livree che raccontano di una sofisticata idea di estetica. In una parola: bellezza. Ma per arrivare a questo Ducati ha bisogno di donne e uomini che abbiano valori più o meno equivalenti. Quali?

In un candidato cerchiamo prima di tutto di intravedere passione per questo mondo. Se non c’è, se non percepisce differenza tra questo lavoro e un’altra cosa, beh, forse fa bene a farlo da un’altra parte. Tendenza all’approfondimento e alla costante innovazione tecnologica, ecco un’altra cosa che cerchiamo. Infine, qualcuno che pensi e agisca senza mai perdere di vista un concetto: Ducati è un’azienda premium. Noi non creiamo motociclette. Noi creiamo le motociclette. E questo approccio si riflette in tutto quello che facciamo.

 

Ducati la conosci anche se non distingui il freno dalla frizione. Ma che vuol dire Employer Branding per un’azienda così, una di quelle che non ha bisogno di dire chi è?

Quello che all’esterno può sembrare più facile in realtà visto dall’interno non è che una maggiore responsabilità. Perché quando la percezione dell’azienda è così elevata, il rischio che le aspettative non corrispondano alla realtà è sempre dietro l’angolo. E comunque sull’employer branding la nostra carta d’identità è Claudio Domenicali. È entrato in Ducati da semplice neolaureato in ingegneria. Oggi è il nostro amministratore delegato.

 

A proposito del vostro amministratore delegato, in una intervista tempo fa criticava “la distanza fotonica” tra università italiana e mondo reale. Come provate a ridurla, in Ducati, quella distanza? (non dica “in moto” perché non vale!)

(Ride) Guardi, io faccio selezioni in tutto il mondo e devo dire che la qualità e il valore dei laureati italiani è incomparabile. Sono i migliori per preparazione tecnica e teorica. Peccato però che questo non valga per la parte pratica. Per cui il candidato che entra in azienda deve imparare tutto da quel punto di vista perché, di fatto, sotto il profilo pratico, non è formato a dovere. Con la Fondazione Ducati ci siamo posti proprio questo obiettivo: avvicinare la scuola al mondo pratico dell’azienda. Inoltre la nostra organizzazione usa “di norma” lo strumento dell’apprendistato. E lo facciamo per una ragione su tutte: nei primi tre anni la formazione è massima.

 

Siete tra i promotori di una campagna per la promozione della cultura tecnica. Ma potesse lanciarne un’altra, in questo momento, quale sarebbe la sua personale campagna all’interno del mondo HR?

Quella sulla manutenzione del talento, senza alcun dubbio. Perché fare una cattiva manutenzione del proprio talento, o non farla affatto, equivale a non avere alcun talento. Le competenze durano se ci si prende cura di loro. Se poi le aziende non fanno formazione, di cosa ci si lamenta?

 

Venticinque anni fa, il 2 ottobre 1992, nasceva Monster (la moto). Due anni dopo, Monster (protagonista del digital recruiting). Ma al di là del nome e un bel pezzo di storia, perché una collaborazione funzioni, cosa devono condividere due partner come voi?

Tanto per cominciare, lo stesso approccio. Nel caso di Ducati e Monster, poi, anche il valore umano e in termini di risorsa che ogni candidato rappresenta. Infine, la dimensione. Che nel caso specifico di Monster.it serve per essere veramente problem solving e a non proporti prodotti preconfezionati e basta.

 

Perché un talento dovrebbe scegliere di investire le proprie competenze in Ducati?

Per una ragione molto semplice: perché in Ducati sono racchiusi gli aspetti positivi di una grande azienda tecnologica e quelli di una piccola impresa. Che vuol dire? Che dopo dieci anni trascorsi in Ducati sei veramente padrone della tua professionalità. Qui non acquisisci porzioni di conoscenza che poi assembli per conto tuo. Oggi ci si sposta da un’azienda all’altra anche per avere un curriculum di tutto rispetto, testimoniato dal valore delle aziende per le quali si è lavorato. Ecco, da noi quel curriculum ce l’hai senza bisogno di cambiare azienda.

 

Incrocia per strada un candidato che sta per avere un colloquio con lei. Si è alzato di buonumore e vuole dargli un consiglio. Uno soltanto. Quale sarebbe?
Gli direi di non recitare. E di raccontarmi senza finzioni i suoi punti di forza, ma senza esagerare. Di solito i candidati impersonano il ruolo che dovrebbero essere, dimenticando che non possono esserlo. Perché se sei neolaureato in ingegneria, o in marketing, o in economia, non puoi essere già un professionista di quel settore. Sarebbe assurdo. E l’assurdità non paga mai.

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