Come cambia il lavoro: ecco la giornata-tipo della Generazione Z

Meno legati al denaro e al posto fisso, con competenze trasversali, decisamente multitasking e assai più attenti alle implicazioni etiche della loro occupazione. Che professionisti saranno quelli della Generazione Z ce lo hanno spiegato bene i tanti analisti che, nel corso degli anni, si sono appassionati alle loro sorti.

Tuttavia, malgrado la mole di informazioni e la dovizia di dettagli che, in un certo senso, ci sono arrivati direttamente dal futuro, agli occhi di chi si occupa di risorse umane restano ancora molte zone grigie attorno a questa schiera di professionisti. Una generazione, la prima di fatto 100% digitale, destinata, rispetto alle precedenti, a segnare uno strappo netto nella storia del mercato del lavoro.

Sappiamo, ad esempio, che lo spazio fisico assumerà con i professionisti della Generazione Z un valore completamente diverso da quello che viviamo oggi, ma come sarà davvero l’ambiente di lavoro che li accoglierà? Ci hanno spiegato che il work-life balance sarà uno degli aspetti cruciali su cui basare le scelte in fatto di lavoro, ma che forma avrà, in concreto, la loro giornata-tipo? E ancora, conosciamo (meglio, stiamo imparando a conoscere) gli usi e i consumi di una generazione votata all’iperconnessione, fondata sul “lo vedo-lo voglio” (variante commerciale del ”lo penso-lo faccio”), ma come si concilia, poi, tutto questo, con la gestione del tempo sul posto di lavoro?

Difficile azzardare risposte senza correre il rischio di incappare in grossolani errori di calcolo o valutazioni approssimative. Un’idea, però, possiamo farcela anche adesso, seguendo l’evoluzione di alcuni grandi indicatori, quelli che già caratterizzano la vita professionale di una buona porzione di Millennial e della Generazione Y, e da questi ipotizzare una proiezione da qui ai prossimi anni. Quando cioè il mercato del lavoro sarà tarato quasi esclusivamente sulle esigenze dei “Z”.

A venirci incontro, fornendoci una grossa mano al riguardo, ci hanno pensato i professionisti dell’agenzia MRY, un team di esperti di comunicazione e marketing di base a New York, che qualche anno fa si sono divertiti a immaginare in che tipo di contesto professionale un “Gen Z” avrebbe potuto investire le proprie competenze. Il prodotto di questa analisi è raccolto in uno studio dettagliato e piuttosto attendibile. “The New Micro Leisure”, lo hanno chiamato. Un modo per mettere subito in chiaro quale sarà il rapporto tra privato e professionale nella vita di un occupato nato tra il ‘96 e il 2010.

Qualche decina di pagine di analisi per arrivare a sostenere un concetto semplice: l’idea di giornata-tipo a cui siamo abituati, quella composta dal monolite 9h-18h, sarà letteralmente frantumata. E, mai come stavolta, il termine è da intendersi in accezione squisitamente letterale.

Con i primi esponenti della Generazione Z, infatti, pare proprio si entrerà nell’era delle micro-pause. O micro-piaceri, per dirla con i professionisti di MRY. Da qui a qualche anno, infatti, secondo lo studio americano, le tecnologie avranno un impatto così forte sul mondo dell’impresa, e modificheranno così nettamente il nostro rapporto con la giornata lavorativa, che alle aziende sarà in qualche modo imposto di ripensare alla radice il tempo e le modalità di lavoro dei loro dipendenti.

E non sarà poi tanto facile, poiché si parte dal completo ribaltamento degli attuali schemi. Un contesto nel quale la giornata sarà scandita non più da un inizio e una fine uguale per tutti, ma da un approccio più “sartoriale”, più individuale al tempo del lavoro. Non solo. Durante tutto l’arco della giornata, i professionisti di domani passeranno, a quanto pare, dal lavoro al piacere, e dal piacere di nuovo al lavoro, nello spazio di un istante. Niente più divisioni tra tempo personale e tempo dell’impresa. Tutto sarà più fluido, più liquido, meno scandito. Nessun confine a marcare un inizio e una fine. Si passerà così dal rispondere a una mail del capo a comprare un cappotto online, dal riservare un posto nella lezione di zumba del giorno dopo a fare training online al nuovo collega, tutto nell’arco dello stesso frangente.

Questo implica com’è ovvio una gestione meno ortodossa della “risorsa tempo” rispetto a quanto siamo abituati a vedere oggi. E se vale per l’azienda vale anche per i suoi dipendenti. Non deve stupire perciò sapere che si lavorerà sempre più spesso dopo cena, o anche di notte. Al ristorante o al bar. Nel tempo, brevissimo, di un caffè.

Ma di fronte a uno scenario di questo tipo, la ricerca del talento, per le imprese, com’è destinata a cambiare? Come si mantengono cioè inalterati, in un contesto simile, tanto i livelli di produttività quanto la qualità della vita al lavoro, e di riflesso le politiche di attraction?

La risposta è semplice (meno, semmai, è la sua applicazione, ovvero il passaggio dal piano teorico a quello pratico; ma tant’è): mantenendo fede alla promessa che sempre più sarà alla base della vita dei professionisti di domani. Quale? Quella del benessere e del piacere, della libertà e dell’emozione, come dimensione di qualità della vita sul posto di lavoro.

Come molti giovani stanno imparando a fare, quelli della Generazione Z saranno professionisti che avranno ampiamente risolto il conflitto che deriva loro dal rapporto ambivalente con l’iperconnessione – ci si colpevolizza per il troppo tempo speso online, senza per questo rinunciarvi, consci di quanto quel tempo incida positivamente sulla qualità della vita al lavoro – e cercheranno l’impresa che meglio avrà saputo tradurre tutto questo in azioni concrete.

Alcuni strumenti per farlo sono già a disposizione delle divisioni HR. Tra questi, politiche spinte di smart-working; uso maggiore dei flexible benefits; sostegni concreti alla creatività dei dipendenti attraverso una maggiore libertà da destinare a progetti personali. Ma servirà comunque un netto cambio di paradigma alle divisioni HR per essere davvero pronte ad accogliere i componenti di una generazione tanto sofisticata.

Occorre gettare le basi di una rivoluzione culturale che contribuisca a rimettere tutto in causa. E che porti magari anche alla nascita nelle imprese divisioni ibride, composte da professionisti con competenze a metà tra le risorse umane e il marketing. E, per il resto, ci sarà soltanto bisogno di aspettare. Perché con i professionisti, evolverà anche il mercato. E con lui, pure gli strumenti che lo distingueranno anno, dopo anno, dopo anno.