Niente si crea, niente si distrugge: come leggere il mercato del lavoro col principio di Lavoisier

Chissà se, nell’enunciarlo, Antoine-Laurent de Lavoisier, almeno lui, ipotizzasse per il suo teorema il successo che poi gli è toccato in sorte. Difficile, se anche i consensi sperticati della comunità scientifica non riuscirono a risparmiargli, qualche annetto più tardi, l’accusa di tradimento e, quindi, la condanna a morte e la ghigliottina (va detto che erano anni piuttosto difficili, in Francia, quelli, per le élite).

Chissà, allora, se se ne siano resi conto almeno gli altri, quelli venuti subito dopo Lavoisier. Di certo ce ne stiamo rendendo conto noi. Che al principio del “niente si crea, niente si distrugge” (il “tutto si trasforma” lo aggiunse tempo dopo Einstein, ma funzionava bene anche prima) non smettiamo di riconoscere una validità e una esattezza tali da riuscire a superare, oltre alle epoche, anche l’ambito per cui era stato formulato.

Parlava di materia, infatti, Lavoisier. Ma basta voltare appena un poco lo sguardo per rendersi conto di quanti e quali aspetti, in quanti e quali contesti, questa formula semplice semplice sia in grado di spiegare.

Ora voi prendete, ad esempio, The Future of Job, il report annuale del World Economic Forum che raccoglie e mette insieme la lista delle 10 competenze più richieste ai lavoratori entro il 2020 – cioè ora. Ecco, in questo rapporto è spiegato bene il modo in cui, dopo più di tre secoli, e in piena quarta rivoluzione industriale, la tesi di Lavoisier sia ancora validissima.

Delle dieci skill più richieste ai lavoratori entro il 2020, otto, infatti, sono le stesse che il mercato pretendeva già nel 2015 (e viene da chiedersi quante, di queste otto, fossero superstiti già dei cinque anni precedenti). Due sole le defezioni rispetto a quel periodo: Controllo qualità e Ascolto attivo (chissà in cos’altro si siano trasformate nel frattempo).

Le altre competenze, invece, sono ancora tutte lì. Le stesse. Immutate. Solo hanno assunto, in questi cinque anni, una posizione diversa nello scacchiere delle priorità delle aziende. Con due nuovi ingressi a completare la lista delle dieci skill che un candidato deve possedere entro il 2020: Intelligenza emotiva (la capacità di saper “leggere” e interpretare umori ed emozioni di manager e colleghi, e trarne, di riflesso, un vantaggio per i propri obiettivi) e Flessibilità cognitiva (elasticità mentale alla base del pensiero laterale di cui le imprese, oggi, hanno bisogno persino più di quanto non ne abbiano delle idee). Posizionate, rispettivamente, al 6° e al 10° posto nella classifica del Word Economic Forum.

Per il resto, si diceva, è tutto un saliscendi delle abilità speculari rispetto al quinquennio precedente. Per dire: la Negoziazione (che non è solo saper capitalizzare al massimo una circostanza al cospetto di un cliente, ma anche saper “trattare” nel modo opportuno con colleghi e manager) cinque anni fa era al quinto posto, ora è al 9°. La Service orientation (dote che consiste nel riuscire a vestire i panni di colleghi, manager e clienti con un’adesione tale da soddisfare sempre e al meglio ogni loro esigenza, arrivando fino a predirla), è scesa anche lei di un posto nelle abilità più richieste entro il 2020: dal 7° all’8°. Percorso inverso per il Decisionismo (o decision making), che dall’ottava passa alla settima posizione.

Scende, e parecchio, la Collaborazione. Se cinque anni fa, infatti, era la seconda abilità più ricercata in un candidato, oggi questa attitudine per il recruiter resta importante ma, a quanto pare, molto meno indispensabile. È infatti quinta su dieci. Segno, chissà, che una dose di sano individualismo non faccia poi così male in un’epoca contrassegnata dalla connessione perenne. Requisito essenziale resta poi anche la Gestione del personale. Che però, anche lui, scala di una posizione rispetto al 2015.

Sul podio delle abilità più richieste dal mercato nel 2020 figura la Creatività, che fa registrare un balzo in avanti davvero impressionante rispetto ai cinque anni precedenti. Se nel 2015 questa dote occupava infatti il decimo posto, oggi, con il terzo, si attesta quale requisito fondamentale per un professionista. Specie in contesti largamente dominati dalle macchine. Dove logica e ragionamento costituiscono senza ombra di dubbio merce preziosa agli occhi di un’azienda. Anche per questo, il Pensiero critico, equivale oggi a una specie di patrimonio irrinunciabile per ogni candidato. Questa skill è passata, infatti, in cinque anni, dal quarto al secondo posto nella scala di “The Future of Job”. E in testa alla lista delle competenze più richieste ai lavoratori nel 2020, proprio come un lustro fa, compare il Complex Problem Solving. Ovvero la dote di riuscire a dirimere problematiche e difficoltà in contesti particolarmente articolati.

Che poi è solo un altro modo originale che il mercato del lavoro ha trovato per dirci quanto Lavoisier avesse davvero ragione. Passano i secoli, sembra infatti essere la lezione che si ricava da questo rapporto del Word Economic Forum, e niente si crea, niente si distrugge. Semmai, tutto si trasforma. Compresi i problemi, e chi deve risolverli.