L’azienda di domani? Partecipativa. La digitalizzazione apre la strada al management “condiviso”

La trasformazione in corso impone un nuovo modello organizzativo più snello e reattivo. Così le decisioni (e le responsabilità) si prendono a un palmo dalla catena di montaggio.

Fatta la digitalizzazione, adesso vanno fatti i digitalizzati. Perché come ogni grande intuizione nella storia dell’uomo e dell’industria, anche la mutazione in corso deve poter contare su qualcuno che sappia interpretarla, tradurla e insieme fornirle lo slancio di cui necessita. Qualcosa che nella fattispecie vuol dire più che altro assicurare a manager e collaboratori le condizioni per cogliere ogni vantaggio. Ogni sorta di opportunità che questo sostanziale, profondo cambio di paradigma promette di riservarci.

Benché ci si trovi soltanto agli albori di una nuova era, appare infatti già abbastanza chiaro quanto la tecnologia, da sola, non basti. Per dirsi davvero compiuto, il processo di digitalizzazione massiccia che sta investendo le imprese ha dunque bisogno di trovare una sponda nei suoi principali interpreti.

Da più parti va consolidandosi la convinzione che serva, al pari di una rifondazione tecnologica, un rinnovamento culturale: un netto cambio di postura dei professionisti di oggi. Un nuovo modello organizzativo, in pratica, calibrato sulla condivisione collegiale dei processi decisionali, sulla massima trasparenza tra tutti i livelli, ma anche, e in definitiva, su una più vasta condivisione di responsabilità tra i dipendenti.

In altre parole, su un management partecipativo.

Nessuna utopia. Semmai un prerequisito indispensabile, o, se preferite, la conditio sine qua non per il successo della trasformazione digitale che attraversa oggi l’industria.

E che, a cascata e con intensità differenti, si riflette poi su tutto il mercato del lavoro.

Management partecipativo come risposta – anche – alla rapidità con la quale varia il modo di intendere la professione da parte delle nuove generazioni. Sempre più contrassegnate dalla riscoperta di una generale ricerca di significato; da una maggiore capacità, rispetto al passato, di mettere in discussione l’ordine stabilito delle cose; dall’accesso illimitato alle informazioni; dall’attitudine innata alla rapidità, al multitasking e al cloud come filosofia e approccio alle faccende del mondo.

Di fronte a donne e uomini che la penseranno così, che vivranno così, e che – quindi – lavoreranno così, va da sé che l’utopia, semmai, sta nel convincersi di parlare tra dieci anni ancora allo stesso genere di professionisti. Di avere ancora la stessa cultura del lavoro. O lo stesso granitico (e inscalfibile) modello piramidale di management.

Si va verso un cambio di tutto, e lo si fa nell’interesse di tutti. Azienda e collaboratori. In che modo? Gettando già oggi le basi per una diversa visione dell’impresa di domani. Organizzazione nella quale manager e dipendenti vedranno nettamente scomparire, fino quasi ad azzerarsi del tutto, le distanze attuali. Ripartizione delle responsabilità, incremento dell’autonomia individuale, della possibilità di proposta, dell’assunzione d’iniziativa, quindi, di riflesso, della soddisfazione personale per la riuscita del proprio lavoro: eccoli i pilastri di questo nuovo patto manageriale tra azienda e collaboratori.

Il risultato? Un’impresa più snella eppure più ricca di idee, ma anche meno pachidermica e perciò più agile; in conclusione, più reattiva. E questo perché si tratterebbe in fondo di una organizzazione dove le decisioni si prendono a un metro da dove le cose accadono. Senza troppi filtri né intermediazioni, né tempi (morti) di approvazione. Dove una minore concentrazione di potere nelle mani di pochi coinciderà – giocoforza – con più responsabilità individuali, ovvero più partecipazione.

Che poi è il vero tema di questa rivoluzione digitale: da un lato automatizzare quante più possibili attività a basso valore aggiunto, dall’altro capitalizzare ogni genere di intuizione prodotta dall’apporto umano dei collaboratori. Non più semplici esecutori materiali nell’impresa di domani, ma attori responsabili in toto della qualità del proprio segmento produttivo. Manager, insomma, a tutti gli effetti.

Arrivati a questo punto immaginiamo l’obiezione: tutti manager quindi nessun manager? Nient’affatto. Questa gestione partecipativa non cancella i ruoli nè le fasi di supervisione, ma ha dalla sua l’unica pretesa di aprire la strada a un management del tutto inedito: una funzione non più verticale, ma orizzontale, necessariamente aperta al dialogo e alla condivisione di buone pratiche e di performance vincenti. E, anche per questo, sopra ogni cosa, finalmente stimolata ad acquisire i migliori collaboratori presenti sul mercato. Che si tratti di battitori liberi o di intere divisioni, non fa differenza.

Sarà il metodo, e solo lui, a contare. E quindi o sarà partecipativa l’impresa di domani, o non sarà affatto.