Adeguarsi alla “Generazione Z”: che sfida per l’HR di domani

Riduzione della mano d’opera, frammentazione delle risorse ma, sopra ogni cosa, lo sbarco massivo sul mercato del lavoro della cosiddetta Generazione Z. I prossimi quindici anni promettono di essere i più complessi per le imprese alla costante ricerca di talenti. Tra gli HR più avveduti, per questo motivo, c’è chi da tempo si è messo a studiare i percorsi, a leggere le mosse, a decriptare abitudini, gusti e perfino tic di questa futura classe di occupati. Il tutto nel tentativo naturale di anticiparne la direzione, prevenirne i bisogni e ridurre al minimo l’effetto sorpresa quando questa nuova ondata di ambizioni riscriverà, di nuovo e da capo, le regole del mondo del recruiting.

Resta da capire allora cosa voglia dire davvero per un’azienda prepararsi, oggi, a una rivoluzione simile. Per farlo, occorre prima di tutto chiedersi da chi è composta e quali sono le caratteristiche di questa Generazione Z finita da tempo nel mirino degli HR di ogni latitudine.

Più autosufficiente, tecnologicamente evoluta e ambiziosa due volte più delle precedenti generazioni, la “Gen Z” racchiude al proprio interno aspetti destinati a chiamare ogni organizzazione a un autentico cambio di paradigma per riuscire ad attrarre prima, reclutare poi e infine trattenere i migliori talenti in circolazione.

Un’onda lunga circa 60 milioni di lavoratori che si distingueranno dai loro predecessori, stando alla fotografia che emerge dallo studio condotto per MONSTER dall’agenzia TNS e svolto su un campione di duemila giovani di età compresa tra i 15 e i 20 anni, per almeno cinque aspetti fondamentali. I primi a chiedersi che lavoratore sarà quello della Generazione Z hanno infatti scoperto e messo in fila le differenze col passato offrendo agli HR un importante strumento di analisi in prospettiva futura.

In primo luogo, chi farà il suo ingresso nel mercato del lavoro nei prossimi 5-10 anni, avrà, rispetto a chi l’ha preceduto, una maggiore propensione a determinare ogni aspetto della propria carriera. Secondo, la Generazione Z conferma il trend che aveva marcato la differenza forse più sostanziale tra i Millennials e gli appartenenti alla Generazione X, confermandosi una classe molto attratta dal denaro e per questo assai più motivata dall’aspetto economico del lavoro. Eppure, a parziale smentita di questo dato, c’è quello secondo cui, per gli analisti che l’hanno fotografata, la Generazione Z è anche quella che più delle altre si aspetta che il lavoro all’interno dell’azienda abbia uno scopo maggiore che non assicurare uno stipendio a fine mese. Uno scopo per il quale, verrebbe da dire, i nuovi occupati sarebbero disposti pure a qualche sacrificio se è vero, come suggeriscono i dati dello studio, che più di uno su due si dice pronto a lavorare di notte e nei fine settimana. A fronte di una paga più elevata, si capisce. Ma ci sono anche buone possibilità, infine, che la Generazione Z sia quella che passerà alla storia come la generazione “nomade”. Tre quarti degli appartenenti a questa nutrita schiera di lavoratori ammette infatti che, di fronte a una seria opportunità di lavoro, sarebbe disposta a muoversi dal proprio nucleo di appartenenza.

Se a questo spaccato poi si aggiunge il dettaglio relativo ai tassi di turnover, destinati a tornare ai livelli pre-recessione già entro i prossimi cinque anni, va da sé che la vera sfida che attende l’HR nell’immediato futuro riguarderà la capacità di rendersi versatile, trasversale e molto, molto persuasivo.

In definitiva, davanti a una generazione difficilmente classificabile come quella Z, aspetti come l’employer branding che ancora oggi faticano ad essere assimilati come cruciali nei processi di recruiting da buona parte delle organizzazioni, cambieranno vorticosamente posto nella scala dei valori di ogni dipartimento HR. Cessando così di colpo di essere uno dei tanti strumenti a supporto delle risorse umane, per diventare il primo e più importante patrimonio di quell’azienda, al fine di attrarre competenze e talento.