Come fidelizzare i migliori talenti e prepararsi al “nomadismo” della Generazione Z

Soltanto un momento, nella vita professionale di un HR, supera per difficoltà quello in cui una risorsa valida annuncia la propria volontà di cambiare azienda. E di solito i due arrivano in rapida successione. Perché il secondo è quello in cui realizza che dovrà rimpiazzarla.

Tradotto: mettersi – o in molti casi ri-mettersi – alla ricerca di un nuovo collaboratore all’altezza di quello perso, riuscire a trovarlo nel tempo spesso ridicolo che gli viene imposto, garantirgli un ambientamento rapido e senza sbavature, formarlo prima che il resto del dipartimento accusi un rallentamento, e infine sbrigare in una manciata di giorni tutta quella serie di pratiche simpaticissime che un’assunzione di solito porta con sé: visite mediche, contratti, clausole e scartoffie di vario genere.

La domanda, perciò, è legittima: esiste un modo per evitare tutto questo? Risposta breve: no. Risposta lunga: no, ma esistono alcune prassi che col tempo gli HR di tutto il mondo hanno imparato ad affinare e che oggi costituiscono, se non l’antidoto a questo genere di imprevisti, quantomeno un valido deterrente.

Fidelizzare un proprio collaboratore è infatti oggi più che in passato la vera sfida che attende ogni dipartimento HR che tenti di guardare oltre la punta del proprio naso. Le analisi prodotte negli ultimi mesi, del resto, lo confermano: la Generazione Z, il cui ingresso nel mercato del lavoro è ormai imminente, promette di passare alla storia come la generazione “nomade” per eccellenza.

Ma come fidelizzare allora una risorsa interna e dissuaderla dal cercare stimoli altrove? Semplice: provando ad offrirglieli quegli stimoli. E farlo, prima che siano altri a creare in lei il bisogno. In altre parole, prima che sia troppo tardi.

Cosa intendiamo, allora, di preciso, quando parliamo di stimoli?

Inutile girarci intorno: dalla notte dei tempi la prima e più efficace soluzione per irrobustire l’affiatamento di un collaboratore all’azienda resta il denaro. Uno stipendio in linea col mercato e qualche bonus economico una tantum legato alle prestazioni rappresentano le soluzioni capaci da sole di smorzare sul nascere qualsiasi principio di disamoramento. La storia, però, insegna anche che quello dell’incentivo economico è da sempre lo strumento più pericoloso tra i tanti in dotazione a un HR. E questo per due ragioni. La prima: salvo quanti?, due, tre casi in tutto il mondo, ci sarà quasi sempre qualcuno disposto a sborsare più di noi per accaparrarsi un talento. La seconda: l’effetto anestetico del denaro, capace di contrastare l’insorgere di scollamenti improvvisi tra impresa e collaboratore, non ha – diciamo così – confini circostanziati. E quindi il rischio che alla lunga questo agisca anche sui livelli di produttività della risorsa è elevatissimo.

Ma se è vero il principio per cui l’incentivo economico fa ancora la differenza per molti lavoratori, è vero anche che ognuno, poi, ha la sua personalissima gerarchia di priorità. E non sempre in cima a questa piramide si trova il denaro. La prossimità alla famiglia o agli affetti resta infatti per molti all’apice delle ragioni di aderenza a una determinata realtà professionale. Siccome però non esiste una formula magica per avvicinare fisicamente l’azienda a ogni collaboratore, lo strumento in questo caso in mano ai professionisti delle risorse umane si chiama smartworking. Lavorare da remoto permette infatti al collaboratore di guadagnare tempo (da dedicare a sé e agli affetti), assicurarsi una dose maggiore di benessere (di solito inconciliabile con qualsiasi forma di pendolarismo) ed accrescere così la propria produttività (a tutto vantaggio dell’impresa).

Poi c’è un altro tipo di prossimità che occupa una posizione importante nell’attaccamento di un collaboratore alla propria realtà aziendale: quella tra colleghi. Buone relazioni e rapporti sinceri tra membri dello stesso dipartimento sono infatti per molti dipendenti un ottimo motivo di aderenza all’impresa stessa. Mettere in piedi serie politiche di team building è un compito difficile per ogni HR, ma i vantaggi di una strategia basata sul rispetto e l’affiatamento tra collaboratori sono impareggiabili.

Rendere poi quello del lavoro un ambiente altamente confortevole, dove alla risorsa non è chiesto il benché minimo sforzo di adattamento poiché tutto è più o meno in linea coi suoi bisogni e le sue aspettative, costituisce un altro dei pilastri di quella spirale virtuosa che genera attaccamento all’azienda e dissuade dal rischio di fughe antipatiche. Concepire quindi gli spazi di lavoro riservando la giusta attenzione al riposo fisico e mentale dei collaboratori, agevolare la presenza di luce e di verde e favorire la condivisione tra colleghi, anche attraverso l’introduzione di giochi con piccoli premi e ricompense simboliche, non costa molto e migliora il clima in ufficio.

Infine, sapere di poter in qualsiasi momento vedere riconosciuta e valorizzata la propria professionalità, attraverso qualsiasi strumento, dal piccolo incentivo fino all’avanzamento di carriera, costituisce per la quasi totalità dei lavoratori un motivo di attaccamento e fedeltà alla propria azienda. In quest’ottica, creare una piccola lista di benefit personalizzati da applicare ai singoli profili (o generali, come ad esempio un premio nel giorno del loro compleanno), permette ai collaboratori di apprendere l’aspetto centrale alla base di ogni piccola o grande politica di retention: la certezza di non essere soltanto un numero per il proprio datore di lavoro.