La settimana corta esiste già, ma le organizzazioni ancora non ci credono

La settimana corta esiste già, ma le organizzazioni ancora non ci credono

A pensarci bene, la settimana corta, in Italia, esiste già. E anche da un sacco di tempo. Solo che l’abbiamo sempre chiamata in altri modi. Anzi, non l’abbiamo chiamata affatto. La facevamo più corta, non ci dicevamo niente, eravamo d’accordo tutti – aziende e collaboratori -, e andava bene così.

Dovessimo dire a cosa somiglia oggi, diremmo che la settimana lavorativa di 4 giorni è stata una specie di anticipazione del quiet quitting. Ma applicato a un solo giorno della settimana – il venerdì – e soprattutto senza implicazioni per la salute psico-fisica o l’engagement dei collaboratori.

Avete presente quei venerdì in ufficio a ritmi molto ridotti? Ecco: in Italia la settimana corta è sempre stata quella roba lì.

Istituzionalizzare la settimana corta

Solo che adesso vorremmo darle un nome, “settimana corta”. Vorremmo, in pratica, istituzionalizzarla. Farla entrare di diritto nell’Employee Value Proposition. E allora capite bene il panico e lo scetticismo che questa “legittimazione” della settimana corta può generare in un mercato del lavoro come quello italiano. Una galassia composta per lo più da piccole e medie imprese.

Ma è di quello che parliamo: della ricerca di un equilibrio tra produttività e benessere al lavoro. Solo che prima eravamo nel campo dell’autogestione dei lavoratori. Ora, invece,  le organizzazioni devono metterci del loro, se vogliono sfruttare questa tendenza a proprio vantaggio.

Con questo articolo proveremo ad estendere un po’ il perimetro della riflessione e, numeri e storie alla mano, a capire cosa vuol dire inserire l’opzione “settimana corta” nella propria people strategy. Se comporta delle controindicazioni, e quali sono i vantaggi. Soprattutto in ottica di attraction e retention dei talenti.

Settimana corta: i vantaggi per l’organizzazione

Che poi il punto non è capire se il modello della settimana corta sarà presto sdoganato anche in Italia, oppure no. Su questo, infatti, non ci sono dubbi. La tendenza è chiara: il bisogno di maggiore flessibilità delle nuove generazioni di professionisti è irrinunciabile.

Semmai, si tratterà di capire quando smetterà di essere un nice-to-have per diventare una leva strategica per l’employer branding delle organizzazioni. E soprattutto, come queste ultime intenderanno metterla in pratica.

Perché i vantaggi, loro, sono innegabili. Proviamo di seguito a citarne alcuni, partendo da quelli registrati in alcune imprese del mercato UK, tra le prime a sperimentare la settimana lavorativa di 4 giorni:

  • Riduzione dei costi fissi e variabili (buoni pasto, utenze, pulizie, personale, etc)
  • Riduzione dell’impatto ambientale (meno trasferte e spostamenti casa-lavoro)
  • Riduzione dei giorni di malattia tra i collaboratori
  • Il 39% dei dipendenti si dice meno stressato
  • Il 71% delle persone ha ridotto i livelli di burnout
  • Il 55% dichiara di lavorare meglio

Cinque indicatori che come diretta conseguenza ce ne consegnano altri due, forse i più determinanti. Anche questi emersi nell’ambito di una ricerca durata mesi e condotta dalla società no profit 4 Day Week Global:

  • – 57%: il tasso di licenziamento per le aziende che hanno scelto la settimana corta
  • 92%: la percentuale di chi ha esteso l’esperimento o l’ha reso permanente

Settimana lavorativa di 4 giorni: un boost per il recruiting

Per non parlare, poi, dei benefici che la settimana lavorativa di 4 giorni promette in termini di attraction e retention dei talenti. Che sono tanti. E anche questi certificati. In Europa e nel resto del mondo, infatti, sono molti i paesi che hanno scelto di sfruttare il potenziale della settimana corta per contrastare e ridurre gli effetti del terribile combinato disposto great resignation/talent scarcity.

Una tendenza che si è già affermata anche in Italia. Dove la cultura della settimana corta si sta rapidamente diffondendo proprio in chiave employer branding. Quasi come fosse un boost naturale per il recruiting aziendale.

È il caso di quelle organizzazioni che hanno compreso fino a che punto il tempo è diventato un bene per le proprie persone. E di conseguenza lo usano come strumento per attrarre nuovi candidati. Ma anche per continuare a “sedurre” i propri collaboratori, offrendo la settimana corta come un vero e proprio benefit.

Serve una rivoluzione culturale per aprirsi alla settimana corta?

Chi proprio non riesce a vincere la resistenza ideologica verso la settimana corta si appella al bisogno di una “rivoluzione culturale”. Una rivoluzione, cioè, che coinvolga tutte le parti in causa: imprese, sindacati, lavoratori.

Ma è proprio da qui che eravamo partiti: la rivoluzione nel mercato del lavoro è già in atto. Chi non si è accorto di questo sta sciupando un vantaggio competitivo per niente trascurabile.

Lo dimostra il successo della settimana lavorativa di 4 giorni in contesti dove l’applicazione dell’orario ridotto (a compenso invariato) sarebbe stata un’utopia fino a qualche mese fa. Si pensi, ad esempio, al settore della ristorazione. Dove, per tornare ad assumere camerieri e altro personale, hanno scelto di puntare proprio sulla settimana corta.

I nodi da sciogliere della settimana lavorativa di 4 giorni

Certo, l’applicazione della settimana lavorativa di 4 giorni non è cosa da poco. Per le divisioni HR significa mettere in campo una trasformazione radicale dei modelli organizzativi. Tra le difficoltà da gestire ci sono infatti aspetti che non sono affatto marginali. Come ad esempio:

  • il bisogno di non far crescere troppo le ferie (che con un giorno libero a settimana rischia di essere utilizzato meno)
  • la formazione dei quadri e dei manager
  • una corretta organizzazione dei turni e delle reperibilità nelle divisioni

Tutti aspetti che richiedono senz’altro uno sforzo alle divisioni HR. Ma che non possono costituire in alcun modo l’ostacolo a un cambiamento di portata storica.

Settimana corta: occhio alle alternative

Senza contare che esistono ottime alternative alla settimana corta. Come dimostra il caso di quelle organizzazioni che per settore e tipo di business non possono permettersi di introdurre una rivoluzione così radicale dei propri modelli organizzativi.

In Italia, per esempio, il Gruppo Nestlé ha introdotto una novità che promette di fare scuola: il “Fab Working”. Di cosa si tratta? Di una modalità di lavoro Flessibile, Adattabile e Bilanciato (da qui l’acronimo FAB) che permette di rispondere più efficacemente al bisogno di elasticità espresso dai collaboratori.

Non si ferma la rivoluzione per qualche contrattempo

L’esempio del Gruppo Nestlé è indicativo poi di un altro aspetto. La settimana corta rappresenta per le organizzazioni una ghiottissima opportunità di posizionamento. Escluso, infatti, il rischio di un calo della produttività, il resto è – per così dire – pura immagine.

Ciascuno potrà infatti costruire intorno a un modello organizzativo più flessibile, poggiato sulla settimana lavorativa di 4 giorni, i pilastri di una people strategy di successo. E farlo al netto di aspetti positivi concreti come:

  • riduzione dei costi
  • motivazione ed engagement del personale
  • minore assenteismo
  • riduzione del turnover
  • maggiore appeal sul mercato dei talenti

Insomma, ci saranno pure degli aspetti ancora da registrare, ma non si rinuncia al futuro per qualche contrattempo.

Prima della settimana corta: trova i migliori talenti grazie a Monster

Non sono solo le grandi multinazionali, però, che stanno sperimentando i benefici della settimana corta. Piccole e grandi organizzazioni in Italia hanno già capito che la flessibilità, se inserita in una più articolata people strategy, può costituire un vantaggio strategico enorme per l’azienda.

Ma c’è anche chi il lusso di aspettare non può più permetterselo. Per supportare proprio queste organizzazioni, Monster ha creato Pay for Performance. Scopri ora l’innovativa soluzione di Recruiting Marketing che offre alla tua impresa massima flessibilità, e ti permette di pagare solo gli obiettivi di recruiting effettivamente raggiunti.