Le nostre funzioni HR fanno abbastanza per prendersi cura dei lavoratori caregiver?

Le nostre organizzazioni sono davvero pronte per i lavoratori caregiver? A giudicare da cosa ci raccontano sempre più spesso analisti e osservatori del mercato del lavoro, non è difficile capire perché la risposta a questa domanda può essere soltanto negativa.

Le imprese italiane hanno un grosso problema con il riconoscere i bisogni dei propri collaboratori che si prendono cura di un familiare anziano o non autosufficiente. E a peggiorare la situazione è la distanza siderale che ancora le separa da una piena presa di coscienza del fenomeno.

Perché se questa mancanza di sensibilità rappresenta un fattore di per sé già molto grave, lo diventa ancora di più se la si analizza alla luce del contesto in cui si inserisce. In questo articolo cercheremo di capire le ragioni di questa sottovalutazione del fenomeno e cosa possono fare le nostre imprese per invertire la rotta e correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
I lavoratori caregiver nel contesto italiano
Inserire i lavoratori caregiver nel contesto italiano non è mai stato un compito semplicissimo. Molti di loro, infatti, per pudore o per timore di perdere il posto, hanno sempre cercato di tenere nascosto lo status di lavoratore caregiver al proprio datore di lavoro.

Un vuoto comunicativo che in primis non aiuta gli stessi collaboratori – costretti ai salti mortali per salvaguardare una corretta work-life integration -, ma che penalizza anche l’azienda. La quale, a sua volta, assiste a un calo dell’engagement e della produttività della risorsa.

Ma chi sono – e quanti sono – oggi i lavoratori caregiver in Italia? Proviamo a capirlo partendo dai dati di un’indagine di Boston Consulting Group che ci aiuta a tracciare un identikit preciso di queste persone. Ma anche a riflettere sulla portata della sfida che attende nei prossimi anni le nostre divisioni HR.
Chi sono in Italia i lavoratori caregiver
● +7 milioni: è il numero dei caregiver in Italia
● 38%: più di un dipendente su tre si occupa di un familiare non autosufficiente
● 77%: dedica in media 20 ore alla settimana all’attività di cura
● 15%: ha pensato alle dimissioni per non riuscire a conciliare vita e lavoro
● 38%: quasi la metà dei caregiver non condivide questa condizione in azienda
● 23%: i caregiver che ne hanno parlato in azienda e non si sono sentiti compresi
Quel carico invisibile agli HR
La ricerca BCG ci dice insomma che il problema del benessere dei collaboratori caregiver in Italia esiste, eccome. Ma anche che molte funzioni HR non riescono a cogliere con la dovuta urgenza i bisogni e le necessità di questi professionisti.

Non bastasse, l’invecchiamento demografico che in Italia non accenna a rallentare non farà che peggiorare la situazione. Aggravando un contesto che per molti lavoratori caregiver è già al limite della sopportazione.

Tenendo sempre a mente il report BCG, sappiamo ad esempio che farsi carico di un familiare non autosufficiente significa, molto concretamente:

● spendere in media oltre 10mila euro di risparmi l’anno per assistenza e cura
● dedicare almeno 14 ore alla settimana all’accudimento del familiare (30%)
● sovraccaricarsi mentalmente e fisicamente
● desiderare di staccare dal lavoro di cura (56%)
● avere bisogno di un supporto psicologico (44%)
Il ruolo delle aziende per il lavoratori caregiver
In uno scenario di questo tipo, viene dunque da chiedersi cosa possono fare le organizzazioni per i loro lavoratori caregiver.

Molto, a dire il vero. Ma la sfida più grande è soprattutto culturale. Il primo vero strumento nelle mani dei responsabili HR consiste infatti in un lavoro di sensibilizzazione generale dell’ambiente di lavoro.

In altre parole, il primo passo consiste in un lento ma articolato processo di cambiamento culturale che abbia come pilastro l’inclusione dei lavoratori caregiver, che ne faciliti il “doppio ruolo”, e soprattutto che ne impedisca l’esclusione dalle posizioni di responsabilità.
Cinque step per una nuova cultura
Come per molti altri aspetti, anche per quello legato ai lavoratori caregiver vale la regola che non tutte le organizzazioni partono dallo stesso livello. Ogni azienda, per ragioni storiche o valoriali, si muove spinta da esigenze e bisogni diversi. Chi ha già gettato le basi per una cultura “people powered”, ad esempio, conosce già i primi passi passi di una strategia organizzativa orientata ai bisogni dei collaboratori.

Per tutte le altre, il primo passo è sempre quello di conoscere le proprie persone e mapparne i bisogni. Vediamo insieme in che modo.

1. Promuovendo occasioni di ascolto dei collaboratori per indagarne le necessità
2. Formando e sensibilizzando le prime linee sui temi “caldi”
3. Incentivando strategie di ricerca e selezione più “DE&I oriented
4. Coltivando un ambiente di lavoro che faciliti gli scambi e le occasioni di dialogo
5. Introducendo strategie più orientate alla flessibilità e a soluzioni di supporto
Lavoratori caregiver: cosa rischia l’organizzazione “distratta”
Ignorare i bisogni dei lavoratori caregiver espone le organizzazioni a un grave rischio. Quello di vedere ciclicamente impoverito il proprio patrimonio di conoscenza e di non riuscire a stabilizzare la propria forza lavoro nel lungo periodo.

La principale risposta di questi professionisti all’immobilismo della propria azienda, infatti, si traduce in due fenomeni che le divisioni HR hanno imparato a conoscere bene negli ultimi anni: Quiet Quitting e Great Resignation.

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