La discriminazione in azienda si contrasta con un buon Employer Branding

Dal vostro osservatorio privilegiato di HR, quanto spazio direste che abbia la discriminazione in azienda, oggi, in Italia? Provate a rispondere, ma teniamo comunque questa domanda da parte. Proveremo a darle una nuova risposta alla fine di questo articolo.
In chiusura cioè di una riflessione in cui cercheremo di comprendere molte delle mille versioni di discriminazione che si annidano, più o meno palesemente, tra le pieghe di modelli organizzativi non troppo (o non troppo correttamente) orientati a una piena inclusione delle persone.
L’impatto della discriminazione in azienda
Qualsiasi analisi sulla discriminazione in azienda, però, dovrebbe partire da dati certi. E a fornirci il contesto necessario, stavolta, è l’incrocio di più analisi condotte da organismi indipendenti.
Come il centro di ricerca americano Pew Research, o l’European Social Survey, o ancora l’Italiana Fondazione Debenedetti.
Tutte più o meno concordi nel dire che gli effetti della discriminazione in azienda non sono mai standard. Ma che, anzi, ogni organizzazione paga un prezzo diverso per la propria discriminazione a seconda dell’evidenza con cui questa si manifesta al proprio interno.
Prima vittima: il benessere dei collaboratori
Sappiamo tuttavia che un elemento ricorrente, che accomuna più o meno tutti questi fenomeni esiste, eccome. Ed è anche il primo ad essere intaccato. È il benessere delle persone. La cui privazione può portare all’insorgere di problemi organizzativi anche molto gravi, e che aumentano a seconda dei casi e dei contesti.
Ma benessere, lo abbiamo imparato bene durante la pandemia, vuol dire tante cose diverse all’interno di un’organizzazione. Tutte cose che, se intaccate, producono un danno anche economico per l’impresa stessa.
L’escalation della discriminazione:
● aumento di ansia e stress tra le risorse
● livelli di produttività più bassi
● disengagement dei collaboratori
● pessimo clima aziendale
● dimissioni volontarie
● elevato turnover
● perdita di competitività
● cause civili
● cause penali
Di cosa parliamo, quando parliamo di discriminazione
Sappiamo a cosa state pensando: figuriamoci se la mia azienda possa arrivare a conseguenze del genere. In quel caso non vi consolerà sapere che i più gravi casi di discriminazione sono frutto dei tanti inconscious bias che ancora sopravvivono nelle organizzazioni. E questo nonostante gli sforzi compiuti in ottica Diversity Equity & Inclusion.
Come è stato appurato nel caso di un esperimento condotto nella civilissima ed europeista Milano, dove il candidato a un posto di lavoro che manifestava vicinanza al mondo LGBTQA+ nel proprio CV vedeva ridurre le proprie chance di essere ricontattato per un colloquio di circa il 30%.
Su cosa fanno leva i nostri bias:
● orientamento sessuale
● genere
● appartenenza a minoranze religiose
● caratteristiche fisiche
● titolo di studio
● paese d’origine
● disabilità
● generazione
O come dimostra, per citare altri casi, l’ostilità riscontrata nei confronti dei candidati di origine ebraica, o verso le persone obese o provevienti da paesi su cui grava un forte pregiudizio. Anche loro di fatto “minoranze”, e anche loro oggetto di questa più o meno inconscia discriminazione in azienda.
L’importanza di aprirsi all’inclusione
Un altro dubbio, arrivati fin qui, potrebbe essere il seguente: ma se davvero parliamo di inconscio (quindi di qualcosa che agisce al di là delle volontà, e anzi spesso contro le stesse volontà delle nostre divisioni HR) esiste un modo per mettersi al riparo da questo rischio?
Ancora una volta la risposta è interlocutoria: dipende. Dipende infatti da quali iniziative si è pronti a valutare. Da quali strade si è pronti a intraprendere pur di risolvere una volta e per tutte il tema della discriminazione in azienda.
Sebbene non esista un percorso univoco, ovvero valido per tutti, una buona strategia è quella che parte dalla cultura aziendale e che si manifesta fin dal processo di recruiting.
Altre iniziative possono comprendere:
● la promozione di una cultura orientata all’inclusione
● la valorizzione della diversità
● la costruzione di un percorso di onboarding “DE&I oriented”
● l’attivazione di programmi interni di empowerment (personale e di team)
● l’organizzazione di occasioni e momenti di inclusione in azienda
Prendere coscienza del fenomeno e riconoscerlo
Mentre ci avviamo verso la fine di questa lunga riflessione, vale allora la pena tornare per un istante alla domanda da cui siamo partiti: quanto spazio direste che abbia la discriminazione in azienda, oggi, in Italia?
Continuiamo a parlare del Paese come sistema, perché la realtà in cui i nostri collaboratori e i nostri candidati sono inseriti è parte del problema. Per questo la scelta più illuminata per le nostre divisioni HR non può prescindere da un lavoro di presa di coscienza del fenomeno.
Ma anche, anzi diremmo soprattutto, della capacità di riconoscerlo nei gesti, negli atteggiamenti e nelle scelte del nostro management.
Il primo passo contro la discriminazione in azienda
Dunque per contrastare la discriminazione in azienda quelli che abbiamo appena visto vanno più intesi come classici “primi passi” da compiere attraverso un’opera di sensibilizzazione collettiva.
Ma sappiamo bene quanto uno o più interventi “spot”, senza cioè una strategia alle spalle, sia destinati a fallire. Quella strategia, però, ha un nome preciso. E rientra nella famiglia delle azioni di Employer Branding, per il quale Monster ha studiato una soluzione modulabile, progressiva e soprattutto “chiavi in mano”.
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