La registrazione audio delle chiamate è legittima?

Registrazione audio delle chiamate legittima se i lavoratori restano anonimi

Il Ministero è intervenuto a valutare il caso in cui un’impresa di telecomunicazioni si sia dotata di un sistema di controllo in grado di effettuare registrazioni audio di chiamate in entrata ed in uscita per il monitoraggio a campione della qualità dei processi e dei servizi di assistenza alla clientela.

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta l’uso di qualsiasi apparecchiatura che abbia la mera finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori ma ammette l’utilizzo condizionato di impianti ed apparecchiature di controllo aventi finalità organizzative, produttive o di sicurezza dai quali derivi o possa derivare, in via incidentale, la possibilità di verificare i prestatori di lavoro. In effetti, in questo caso è ammesso l’utilizzo degli impianti solo previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, subordinatamente quando non si raggiunga l’accordo o quando manchino le RSA o RSU, previa autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competente. Il moltiplicarsi di nuovi sistemi tecnologici rende sicuramente molto difficile tracciare una linea di distinzione tra i sistemi assolutamente vietati – perché aventi esclusivamente finalità di controllo dell’attività dei prestatori di lavoro – e quelli che abbiano altre finalità e che quindi possono essere oggetto di accordo con le RSA o oggetto di autorizzazione ministeriale.

Sull’argomento relativo all’uso dei personal computer nonché delle registrazioni delle telefonate e dei siti internet visitati, si specifica che quando si parla di “controllo a distanza”, per dottrina e giurisprudenza, tale nozione ha un significato spaziale ed uno temporale: rientra, infatti, nel divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori sia un controllo a distanza geografica, sia un controllo differito nel tempo rispetto alla prestazione che permetta comunque al datore di lavoro di controllare a posteriori l’attività del lavoratore.

Premesso quanto sopra, in merito alle verifiche delle chiamate telefoniche si evidenzia che sono da sempre stati ritenuti illegittimi i cosiddetti controlli in cuffia effettuati nei confronti dei centralinisti ed addetti ai call center, in quanto non è mai stata riscontrata, o quanto meno dimostrata, in tale attività alcuna esigenza di carattere organizzativo, produttivo o di sicurezza. Di contro, sono stati ritenuti leciti i controlli finalizzati all’imputazione contabile di singole utenze telefoniche purché non fosse possibile effettuare una verifica neanche indiretta dell’attività del lavoratore.

A tal proposito si segnala che il Ministero del Lavoro, con l’interpello prot. 218 del 6 giugno 2006, ha ritenuto sempre lecito il controllo dei costi telefonici nel suo complesso – essendo fuori dal campo di applicazione dell’art. 4 della Legge n. 300/70 perché non permette sicuramente il controllo dell’attività dei singoli prestatori di lavoro – ed ha, invece, ammesso la verifica contabile delle singole utenze nel caso in cui sussista una rotazione del personale che usufruisca delle postazioni telefoniche in un call center, non essendo possibile, in definitiva, una diretta ed inequivocabile correlazione tra apparecchio telefonico e lavoratore che l’abbia utilizzato in una data giornata.

Sulla questione relativa alla registrazione audio delle chiamate, il Ministero è intervenuto, con l’interpello n. 2 dell’1 marzo 2010, a valutare il caso in cui un’impresa di telecomunicazioni si sia dotata di un sistema di controllo in grado di effettuare, appunto, registrazioni audio di chiamate in entrata ed in uscita, finalizzato al monitoraggio a campione della qualità dei processi e dei servizi di assistenza alla clientela. La risposta, anche in questo caso, si è incentrata sulla possibilità che l’impianto o l’apparecchiatura utilizzata permetta un controllo anche indiretto dell’attività e dei lavoratori, perché questo è il requisito essenziale per ricadere nell’applicazione della procedura prevista dallo Statuto dei Lavoratori. Orbene, per la Direzione Generale dell’Attività Ispettiva, nel caso in cui vengano messe in atto cautele che non consentano di risalire all’identità dei lavoratori, la norma in questione non trova applicazione e quindi non è necessario cercare alcun accordo con le RSA o, in mancanza, chiedere l’autorizzazione al Servizio Ispezione Lavoro. In via esemplificativa, è questo il caso in cui:

  • le voci dei clienti e degli operatori siano criptati in fase di registrazione in modo tale da renderli irriconoscibili e non permettano di identificare l’identità del singolo operatore e cliente;
  • i primi secondi di registrazione siano eliminati con l’impossibilità di risalire al nome dell’operatore;
  • il sistema di monitoraggio non fornisca alcun report di informazioni sul singolo operatore; ï~­ non vengano tracciati né il nome dell’operatore né altri dati che possano portare alla sua identificazione;
  • l’accesso ai dati registrati sia rigorosamente tracciabile e limitato ai soggetti autorizzati alle finalità di monitoraggio.

In definitiva, quando le cautele approntate garantiscano la privacy dei prestatori di lavoro, non è applicabile l’art. 4 della Legge n. 300/70 non essendo possibile neanche un controllo preterintenzionale dell’attività degli stessi.

Analogo discorso va fatto per il controllo a distanza attraverso il sistema informatico. In merito il Ministero del Lavoro ha ritenuto applicabile la disciplina di cui al citato articolo 4 nel caso di un sistema informatico che utilizzava un computer palmare dato in uso ad alcuni informatori medico-scientifici per registrare ed inviare, via internet, al server aziendale l’effettuazione di visite presso strutture sanitarie, memorizzandone la data e l’ora, nonché l’utilizzo di un’apposita scheda sim che avrebbe potuto permettere il controllo degli spostamenti effettuati. Nel caso di specie, infatti, è evidente la possibilità di un utilizzo finalizzato a verificare l’attività nel tempo dei dipendenti ed a ricostruirne gli spostamenti.

Sull’argomento è recente l’intervento della Suprema Corte che, nella sentenza n. 4375 del 23 febbraio 2010, ha ritenuto proibito il controllo sui personal computer aziendali attraverso l’utilizzo di un programma di “controllo informatico centralizzato” che verifichi gli accessi ad internet, in mancanza del previo espletamento della procedura garantista prevista dalla Legge n. 300/70. Nel caso di specie, l’uso dei dati di un software di controllo denominato “Super Scout” – anche se finalizzato a tutelare esigenze aziendali di tipo organizzativo, produttivo o di sicurezza – ha permesso una verifica a distanza di un lavoratore e:

  • l’analisi di accessi ad internet per motivi estranei all’attività aziendale,
  • la sottrazione di tempo al lavoro da svolgere,
  • il pericolo per la sicurezza della rete aziendale, sono stati causa del licenziamento dello stesso.

La Corte di Cassazione ha però ritenuto inutilizzabili i dati registrati dal software ritenendo che lo stesso sia stato utilizzato in violazione dell’art. 4 della Legge n. 300/70 ed ha quindi ritenuto utilizzabili solo i dati rilevati direttamente dal computer. In conclusione, per gli Ermellini, l’esigenza di evitare condotte illecite dei dipendenti non può portare a giustificare un annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza dei lavoratori.

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Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Interpello 1/3/2010, n. 2

Il Quotidiano Ipsoa